A Bayreuth l’eredità più che sacra è inciucio

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Seguiamo con un certo compiacimento, noi italiani gregari d’Europa, quel pasticciaccio brutto che si svolge a Bayreuth. Per carità, niente di paragonabile con le bassezze di cui Bayreuth si è già macchiata nella sua storia più che secolare, o con gli orrori rappresentati nei drammi musicali del suo fondatore: il piacere sta semmai nel constatare che la decadenza, di contenuti e di stile, prefigurata dal lucido pessimismo wagneriano, si è ormai impadronita anche del tempio del redentore, rendendone l’atmosfera irrespirabile come nel villaggio globale. Il custode del Gral, Wolfgang Wagner, nipote del Grande Maestro, somiglia a un decrepito Fafner con le ambizioni di Alberich, più che mai sordo ali’ ammonizione che in tempi mitici Erda rivolgeva a Wotan e che il più prosaico ma non meno scettico periodico “”Die Zeit”” parafrasava così a tutta pagina già otto mesi fa: «Cedi, Wolfgang, cedi». Intendendo il potere. Ma Wolfgang, oltre a non cedere affatto il potere, non sembra aver inteso il significato dei testi del nonno, di cui pure ha curato, nella sua lunga vita, noiose regie inutilmente celebrative.

Riassumiamo i fatti. Fino al 1973 la gestione di Bayreuth è stata una questione familiare privata, affidata in stretto ordine di successione a Frau Cosima, all’unico figlio maschio Siegfried, a sua moglie Winifred (l’amica del cuore di “”zio Wolfi””), ai nipoti Wieland (il purosangue, morto prematuramente nel 1966, a quarantanove anni) e Wolfgang, la brenna, oggi ottantaduenne: il quale dunque festeggerà nel millennio appena iniziato, caso unico nel teatro, il trentacinquesimo anniversario di regno. Regno, però, dal 1973 teoricamente non più assoluto. In quell’ anno venne infatti istituita la Fondazione Richard Wagner, con l’intento non soltanto di sostenere con finanziamenti pubblici (statali, regionali e comunali) l’impresa del festival, ma anche di dare a Bayreuth un ruolo culturalmente e artisticamente più istituzionale, per la Baviera, la Germania e il mondo (se e come vi sia riuscita, lo ipotizza per noi un autorevole testimone oculare, Giuseppe Pugliese). Nello statuto della fondazione Wolfgang volle però che fosse sancito inequivocabilmente un principio: la direzione del festival sarebbe rimasta a lui a vita, o comunque fino a che egli non avesse deciso di ritirarsi; con l’implicita postilla che il successore, oltre a portare il cognome dei Wagner, avrebbe dovuto essere a lui gradito.

 

Bayreuth: ci sarà una donna, dopo l’inamovibile Wolfgang?


Una donna?!

 

Il gran momento parve giungere nel 1999, allorchè Wolfgang, in occasione dei suoi ottant’anni, annunciò la sua disponibilità a deporre lo scettro, aprendo di fatto la corsa alla successione: più che una corsa di levrieri, una vera e propria guerra di intrighi fra clan contrapposti in pura tradizione Wagner. Il calcolo di Wolfgang, per quanto all’inizio mascherato, si rivelò ben presto chiaro: non avendo un Hagen (e tanto meno un Parsifal) su cui puntare, egli intendeva incoronare, come Nerone, la sua Poppea, ossia la seconda moglie e segretaria (o meglio, prima segretaria e poi moglie, sposata dopo un tumultuoso, chiacchierato divorzio) Gudrun, e in proiezione futura la loro ancor giovane figlia Katharina. Ma ancor prima che il progetto di Wolfgang si palesasse, ecco farsi avanti altri legittimi pretendenti a capo di diverse e animosissime cordate: una guidata dalla figlia di Wieland, Nike (56 anni), da sempre ferocissimamente critica sulle ombre del passato (e sull’ipocrisia del presente) di Bayreuth; l’altra dalla figlia di primo letto di Wolfgang, Eva (anche lei 56 anni), rimasta dalla parte della madre umiliata, e per questo prima mal tollerata a Bayreuth durante l’impero del padre e poi cacciata via in malo modo. Se Nike con i suoi scritti si è soprattutto distinta nel togliere gli scheletri dagli armadi di famiglia e nel vagheggiare innovazioni più utopiche che rivoluzionarie, Eva ha preferito darsi una solida formazione professionale lavorando, con risultati assai brillanti, presso importanti teatri e festival internazionali. Ed è su di lei che il comitato di ventiquattro rappresentanti della Richard-Wagner-Stiftung, cui è affidata la scelta, sarebbe orientato, a maggioranza, per la successione. Come è probabile e auspicabile che avvenga, se Wolfgang si ritirerà.

Il condizionale, allo stato dei fatti, è però d’obbligo. Dopo ripetute sedute che durano ormai da quasi un anno, il consiglio ha ancora rinviato la sua decisione, adducendo il pretesto della necessità di ulteriori chiarimenti sui progetti artistici e imprenditoriali dei candidati: dai quali, dopo quelli delle signore Gudrun, Nike e Eva, è spuntato fuori un improbabile outsider deciso a correre da solo, Wieland Lafferentz del Mozarteum di Salisburgo, appoggiato da coloro che pensano, forse non a torto ma irrealisticamente, che l’obbligo di affidare a un Wagner le sorti del festival sia caduto in prescrizione. Ma ecco un nuovo colpo di scena: sornionamente, il mago Wolfgang ha tirato fuori dal cilindro il suo coniglio, annunciando per il 2006 un nuovo Ring da lui stesso prodotto, e lasciando intendere che, come da statuto, modi e forme della sua uscita sarà solo lui a deciderli… (è anche per forzare questa situazione bloccata da un interesse personale, caro Quirino Principe, che l’ex Ministro Lafontaine ha a un certo punto minacciato di togliere le sovvenzioni del Bund al festival: vuoi dargli torto?).

 

Famiglia e Baviera

 

Lo scenario che si presenta è incerto e favoloso, come nel prologo della Götterdämmerung cantato dalle Norne: «Sai tu che accadrà?». L’attuale Ministro della cultura bavarese, il potente Hans Zehetmair, una vecchia volpe della politica, ribadendo che certi veti sono intollerabili e che la partecipazione del denaro pubblico e il rispetto dell’immagine e della competenza sono comunque rilevanti, ha strizzato l’occhio a una soluzione di compromesso: perché non affidare alla rappresentativa Gudrun la presidenza onoraria, all’esperta e capace Eva la direzione artistica e alla ribelle Nike un ruolo importante nello staff, per esempio quello di “”Dramaturg””? Il tutto, si suppone, in una visione ideale di riconciliazione della famiglia se non di rigenerazione del festival, sotto l’ala protettiva dell’immortale vegliardo. Non giureremmo su questa soluzione, che Wolfgang accetterebbe solo per salvare la faccia, e neppure la spereremmo, nell’interesse della chiarezza. Ma se così accadrà, urge sapere come si dice in tedesco “”inciucio””. E non ci vengano a raccontare che è un termine italiano intraducibile, come pizza, mafia e spaghetti!

Il Giornale della Musica, a. XVII, n. 168, febbraio 2001

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