Bach e Haendel, come al solito

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È stato l’Anno della Musica?

Bach e Haendel, come al solito

Germania: un severo giudizio di Wolfgang Sawallisch

 

«L’Anno della musica? C’è stato? E chi se n’è accorto?». La provocazione parte da Heinz-Klaus Metzger, l’ex-discepolo di Adorno, uomo di punta della critica anticonformista tedesca. «Certo, in Germania quest’anno non c’è stato paese, rione o chiesa che non abbia messo su, con le sue brave e pie società corali, una Passione di Bach o un Messia di Haendel, in onore dei grandi concelebrati. Ma appunto perciò lo definirei piuttosto l’anno paesano della musica. Di progetti a dimensione europea, non ne ho visti». Difficile dargli torto. Scorrendo i programmi dei centri tedeschi grandi e piccoli, si ha l’impressione che l’etichetta dell’Anno europeo della musica abbia incentivato il frenetico moltiplicarsi di iniziative locali piuttosto che una serie organica di manifestazioni in qualche modo collegate fra loro e di più ampio respiro, tali da fornire un contributo culturale determinante. Di che tipo, poi? Le coordinate sono abbastanza prevedibili.

Concerti bachiani ovunque, a consumo e secondo gerarchie prestabilite: solo a Berlino, per esempio, la Messa in si minore è stata eseguita quest’anno un numero impressionante di volte; e si andava da esecuzioni amatoriali dove ciò che conta è soprattutto l’intenzione, alle grandi vetrine di Karajan e di Giulini coi Berliner Philharmoniker. Quanto ai convegni, se la Bach Gesellschaft ha optato per il tema “Bach e il XX secolo”, Stoccarda ha risposto polemicamente con un incontro centrato sulla glorificazione del Bach più tradizionale, quello dei sacri valori universali. E nessuno ha osato contendere ad Halle il privilegio di ospitare un’assise-monstre su Haendel: lì nacque, lì deve dunque essere ricordato. Sta di fatto che la Germania non è stata in grado di produrre quest’anno un solo libro su Bach o Haendel o Schütz, limitandosi a ristampe di vecchi testi o a pubblicazioni di trito carattere divulgativo, magari lussuosamente impaginate.

Segno di una cultura in crisi, incapace di inventare idee nuove anche in un’occasione così favorevole? A sentire i musicisti, pare che l’Anno europeo della musica sia stato voluto più dalla megalomania dei burocrati – incapaci poi di creare una vera unità europea – che da reali esigenze dei professionisti: e così ognuno ha fatto di necessità virtù, ritagliandosi la sua fetta di torta (ma in Germania, a dire il vero, le sovvenzioni non sono state così larghe come ci si sarebbe aspettato da una macchina produttiva già efficientissima). Il problema è riassunto con molta chiarezza da Wolfgang Sawallisch, nella sua veste di Operndirektor a Monaco: «Non credo che ci sia bisogno di celebrare Bach, che in Germania è da sempre una presenza importante. Quanto a Haendel, si corre il rischio di presentarlo quest’anno in tutte le salse, senza preparazione e senza contorno, per poi magari dimenticarsene fino al prossimo anniversario. Questo non giova alla cultura. Io ho preferito scegliere per quest’anno un’opera nuova del compositore svizzero Heinrich Sutermeister, una riflessione su Carl Orff, che rappresenta un contributo di Monaco alla musica europea, e l’anniversario di Berg con la Lulu nella versione completa in tre atti. Se si deve festeggiare l’Anno europeo della musica, lo si faccia con proposte differenziate che siano la testimonianza di una aspirazione a far circolare le idee senza perdere l’individualità propria di ognuno».

Nella grande abbuffata bachiana ed haendeliana, è mancata anche in Germania quella riflessione che forse avrebbe qualificato in pieno l’occasione: la situazione della musica europea oggi, sia sotto il profilo creativo che organizzativo. «In sostanza», conclude Sawallisch, «quest’Anno ha dimostrato soprattutto la confusione che regna nella vita musicale mondiale, e la relativa perdita d’identità della cultura europea, incapace di riproporsi in termini di attualità. Di questo si sarebbe dovuto discutere, valorizzando le caratteristiche diverse ma storicamente decisive di ogni nazione. Invece si è preferito arrampicarsi sulle spalle dei giganti del passato, che oltretutto per ogni musicista che si rispetti non contano di più negli anni degli anniversari». Sawallisch ha ragione: e forse da questo punto di vista neppure la superorganizzata e invidiatissima Germania è troppo diversa dal resto d’Europa.

[gdm n. 2, gennaio 1986]

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