Busoni: passo dopo passo il virtuosodivenne autore

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Solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile che una casa discografica importante come la Philips producesse un box di sei dischi (direttamente in compact, per di più) dedicati all’opera pianistica di Ferruccio Busoni. Evidentemente anche i tempi discografici stanno cambiando, e il proposito di colmare le lacune del mercato offrendo nuovi strumenti di conoscenza diviene, da iniziativa isolata di pochi coraggiosi, fenomeno generalizzato e sempre più consapevole. Segno, forse, che il pubblico risponde con interesse a queste sollecitazioni e le accoglie con altrettanta convinzione.

Nei sei cd della Philips non è compresa l’intera opera pianistica di Busoni. Vi mancano, per esempio, tutte le trascrizioni da Bach, inclusa la celeberrima Ciaccona, per una scelta chiaramente rivolta a privilegiare, all’interno di un corpus assai esteso, le composizioni originali: per quanto lo stesso concetto di “originalità” avesse in Busoni confini molti ampi, praticamente onnicomprensivi. Il nome e l’insegnamento di Bach sono comunque presenti, col loro fondamentale valore, in molti pezzi della raccolta, a cominciare dalla prima versione della Fantasia contrappuntistica (1910), nodo cruciale nel cammino verso uno stile compositivo personale, e altamente maturo, del musicista.

Qui è possibile seguirne le tappe dalla fase giovanile, nella quale Busoni ancora lottava per armonizzare la poetica dell’interprete, straordinariamente disinibito e affascinante, con le ambizioni del creatore, fino agli esiti stupendi e castissimi delle ultime opere, dove il miraggio di una nuova classicità sembra realizzarsi attraverso la riduzione e l’assottigliamento dei mezzi tecnici ed espressivi, alla ricerca di un suono puramente pianistico. Da questo punto di vista lavori come i Sieben kurze Stücke zur, Pflege des polyphonen Spiels (Sulle possibilità della polifonia applicata al pianoforte) e Prélude et Etude en Arpèges, entrambi del 1923, sono vere e proprie rivelazioni di un mondo sonoro trasfigurato, quasi immacolato, e nello stesso tempo pregno di emozioni e di memorie.

Nasce così un’osservazione che l’ascolto continuato (peccato però che l’ordine cronologico non sia sempre rigorosamente mantenuto) sembra convalidare: che cioè Busoni abbia conquistato la propria dimensione e originalità di compositore per il pianoforte superando passo dopo passo l’immediatezza del suo talento straordinario di virtuoso e la naturalezza originaria del suo contatto con lo strumento. Non è solo questione di maturazione e di progressiva appropriazione della dottrina del comporre, bensì di un modo diverso di intendere o utilizzare le risorse del pianoforte quale mezzo esecutivo, costringendole all’essenziale.

Paradossalmente, Busoni raggiunge uno stile personale di compositore rinunciando a quella stessa libertà su cui si fondava la sua arte interpretativa, mettendo la tecnica al servizio dell’idea e, da ultimo, spogliando il pianoforte di ogni accessorio ornamentale e virtuosistico, per farne, in senso autenticamente bachiano, lo strumento eletto di una musica ideale, assoluta, solare.

Opportunamente posta a suggello della raccolta, la Toccata (1920) rappresenta la svolta definitiva in questa direzione: pagina poderosa e muscolosa, solenne come una musica d’organo e arditamente proiettata verso nuove acquisizioni linguistiche sul terreno della modernità, essa prefigura uno stile pianistico atipico nel suo stesso virtuosismo trascendentale, permeato di lucida razionalità e di appassionata carica fantastica. Un’opera riassuntiva e di rottura insieme, posta alle soglie di un nuovo inizio, finalmente pacificato e radioso; in una parola, classico.

Il pianista a cui la Philips ha affidato l’esecuzione delle opere di Busoni in questa esauriente raccolta dai molti meriti si chiama Geoffrey Douglas Madge, è australiano, ed è noto per la sua appartenenza alla schiera dei fedeli di Busoni.

Per affrontare un’impresa come questa non basta essere soltanto eccellenti pianisti (e forse, da un punto di vista generale, Douglas Madge neppure lo è, almeno per specifiche doti strumentali), ma occorre soprattutto immedesimarsi nella parte, crederci e approfondire, con lucidità e passione insieme, i mille problemi esecutivi, interpretativi, estetici e poetici posti da queste musiche. Il nostro giunge al fine non senza difficoltà, ma vi giunge: convincendo di più nelle opere di più sbrigliata fantasia, come quelle giovanili e del periodo di mezzo, e lasciando qualche dubbio (fertile di riflessioni, però, sempre) nei pezzi più assortiti e visionari, tutti introiettati nella calibratura dei piani sonori e dei timbri. Fedele anche in ciò al suo Maestro, che nella riproduzione della musica non vedeva altro che il pallido riflesso di un eterno mistero.

Busoni, I lavori per pianoforte; pf Douglas Madge, Philips 4207402 (6 cd).

[gdm n. 28, maggio 1988]

 

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