Effetto Lockenhaus

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Da quando Gidon Kremer vi fissò la residenza di un festival di musica da camera, chiamando a raccolta i suoi amici artisti perché suonassero con lui e addirittura talvolta coinvolgendo volenterosi dilettanti che si offrivano spontaneamente, Lockenhaus è diventato un luogo di culto di straordinaria attrattiva. Dove si trova Lockenhaus?

Nel Burgenland, al confine tra Austria e Germania. Che cosa ha di speciale?

Niente, se non il fatto che nel periodo del festival, nella tarda primavera di lassù, puoi trovarci il fior fiore degli artisti che credono e amano la musica. Senza retorica, una professione di fede in un festival musicale in cui non esistono limitazioni di repertorio e di interpreti, né barriere politiche o restrizioni ideologiche.

E senza la spocchia del festival cosiddetto alternativo, o intelligente, ossia alla fin fine pretenzioso e noioso.

Provare per credere.

O meglio credere per provare.

Per capire, a Lockenhaus bisogna andarci. Tutt’al più si può rimanere un po’ interdetti dall’aura tra lo spirituale e il mistico che vi spira.

C’è una deliziosa chiesetta in cui si svolgono, oltre ai riti specifici della religione, concerti ispirati alle tre confessioni cristiane: liturgia russo-ortodossa, cantate protestanti di Bach e musica di Haydn, Messiaen o Casals, ossia della tradizione cattolica più varia. Il tutto rivissuto intensamente e appassionatamente attraverso la musica: che si travasa anche all’aperto, sulle scale della scuola, o nel cortile del municipio. Sacro e profano come negli antichi misteri medievali.

Con un’incursione costante, dura e amara talvolta, nei territori della modernità.

Fu lì che ascoltammo per la prima volta le note disperate e piene di speranza di Erwin Schulhoff, ardito compositore praghese morto in un campo di concentramento in Baviera perché ebreo e comunista; eccole, queste note stupefacenti, in uno dei dieci cd ora dedicati dalla Philips a Lockenhaus, suonate da Kremer, da Heinz Holliger, dal Quartetto Ysaye, ed altri ancora, meravigliosamente.

La Lockenhaus-Collection non è solo la testimonianza di un’idea di intendere e praticare la musica, è anche una collana di capolavori in mirabili interpretazioni. Un brivido, per la verità non propriamente sacro, ci colse nel vedere Martha Argerich, selvaggia e bellissima, più di sempre, rivelare un’immagine di Schubert sensuale e maliziosa, sconvolgente nella sua femminilità: nel cd a lui dedicato, suona con Alexander Rabinowitsch il Rondò per due pianoforti D 608, e il fascino resiste anche di fronte al ricordo.

La Winterreise giovanilmente intesa da Robert Holl (al pianoforte Oleg Maisenberg) è uno di quegli esempi di ricerca di nuove strade interpretative, serene e confortanti, che a Lockenhaus potevano manifestarsi in piena libertà, anche sperimentale; per converso, l’ineffabile Trio per archi in si bemolle maggiore, con Kremer, Nobuko Imai e Mischa Maysky, conta tra i vertici assoluti di ogni pensabile catalogo discografico.

E poi il Bach severo e concentrato di Harnoncourt, il Quartetto per la fine dei tempi di Messiaen, la meditazione di Haydn sulle Ultime sette parole: bagliori, frammenti, illuminazioni profuse a piene mani dalla Camerata Lockenhaus. Se, come pare, dopo dieci anni di vita l’esperienza si avvia al termine, perché tutto finisce e si rinnova, questi dischi rimarranno un documento di civiltà: e la gioia che ne proveremo sarà comunque superiore al rimpianto.

Un posticino nel nostro cuore Lockenhaus lo conserverà sempre.

 

Lockenhaus-Collection; 10 cd separati in box, volume 1 (“Credo”: musiche di Bach, Haydn, Casals, Messiaen), volumi 3 e 4 (musiche di Schubert), volume 7 (musiche di Schulhoff); Kremer, Harnoncourt, Holliger, Ysaye Quartet, Holl, Maisenberg, Argerich, Rabinowitsch, Maisky, Grindenko e altri, registrazioni dal vivo a Lockenhaus tra il 1985 e il 1990, Philips 434 031-2, 434 033-2, 434 038-2.

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