Le verità di Pelléas e Mélisande

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Dell’opera di Debussy Abbado recupera una fondamentale dimensione lirica e poetica, non rinunciando a sottolineare
la sua unicità nel teatro del Novecento, e riconsegnandola intatta alla passione e alla commozione

A una delle prime letture d’orchestra del Pelléas et Mélisande che Claudio Abbado stava preparando all’Opera di Vienna, due anni e mezzo circa fa, i Wiener Philharmoniker, che non suonavano da tempo immemorabile questa partitura, risposero quasi con sufficienza alle sollecitazioni del direttore, sembrando perfino poco convinti della sua scelta. Si parlò allora, e i giornali viennesi ne dettero ampia notizia, addirittura di una “protesta” dell’orchestra contro il gran numero di prove programmate da Abbado per un’opera “minore”, per di più francese. Il contrasto fu poi smentito, ma solo quando il Pelléas andò in scena ed ebbe un successo a dir poco clamoroso: come se davvero i viennesi avessero scoperto solo allora la grandezza di Debussy. La produzione era quella che Abbado stesso aveva realizzato nel suo ultimo anno di permanenza alla Scala, con la regia di Antoine Vitez.

L’affinamento conseguito nel corso delle recite è la premessa del risultato eccezionale di questa incisione discografica. Che mantiene tutta la freschezza e l’emozione di quelle esecuzioni dal vivo, giunte da ultimo a una perfezione già da disco, e le decanta ulteriormente per mezzo di una tecnica di registrazione capace di fissare le più delicate  sfumature di suono, le più impercettibili gradazioni dinamiche ed espressive, mantenendo viva la tenuta generale della personalissima interpretazione di Abbado. Di natura fortemente drammatica ma governata con una chiarezza sbalorditiva: stile e clima tutt’altro che adagiati sulla superficie consueta di una magia timbrica vagamente impressionista.

Abbado sa come cogliere in quest’opera il filo che lega il mistero dei sentimenti non detti all’evidenza dei fatti che li racchiudono. Se Boulez aveva astratto freddamente la modernità linguistica del Pelléas, quasi disinteressandosi del destino dei personaggi, Abbado recupera una fondamentale dimensione lirica e poetica, non rinunciando a sottolineare la sua unicità nel teatro del Novecento, ma riconsegnandola anche intatta alla passione e alla commozione di una musica dell’anima. E riesce così a costruire una visione nitida che ci porta quasi a penetrare il senso della parola chiave dell’opera: la verità, su cui tutti i personaggi si interrogano e che sembra sfuggire a ogni definizione. Qui la verità non è nelle risposte, bensì nelle domande stesse: nella profondità di significati e di sentimenti traducibili solo nella tensione del canto e della musica, nei momenti culminanti dello slancio appassionato come in quelli ad essi sottesi del ripiegamento interiore. Basta ascoltare l’interludio del quarto atto per capire gli uni, l’ultima scena per trasfigurarsi nell’infinita tristezza degli altri. Il disco esalta e rende omogenee ai più alti livelli le qualità della compagnia di canto, riequilibrando alcune disuguaglianze tra le voci che erano percepibili in teatro.

Quanto ai Wiener, suonano con un calore, una proprietà e una bellezza di suono impressionanti: credendoci fino in fondo.

 

Debussy, Pelléas et Mélisande; Ewing, Le Roux, van Dam, Courtis, Ludwig, Pace,
Wiener Philharmoniker, dir Abbado, DGG 435 344-2 (2 cd).

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