Una missione creatrice che continua

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Le 632 (seicentotrentadue!) pagine di che è costituito il volume intitolato I fondamenti della musica nella coscienza dell’uomo si presentano come un mattone, una colata di cemento armato. Bisogna leggerle con pazienza, a piccole dosi, per scoprire che in esse è racchiusa l’essenza dello spirito, la volatile leggerezza dell’anima, del sentimento e dell’intelligenza. Ed è una scoperta tanto formativa quanto commovente. L’autore è un direttore d’orchestra tra i grandi, se non fra i sommi, del nostro secolo: Ernest Ansermet, nato a Vevey nel 1883 e morto a Ginevra nel 1969, il cui nome è legato alla stagione più prestigiosa dei “Balletti Russi” di Djagilev e Stravinskij (dal 1915 al 1923) e poi all’attività dell’Orchestra della Suisse Romande, da lui fondata e diretta per cinquant’anni, dal 1918 al 1968. Nel corso di diciotto anni di lavoro e di riflessione, tra il 1943 e il 1961, Ansermet ha messo insieme quest’opera del tutto unica nel suo genere, al tempo stesso testamento spirituale e guida pratica ai problemi dell’interpretazione: nell’interpretazione vedendo anzitutto la risposta a quesiti che riguardano non soltanto i fenomeni di coscienza (dalla coscienza uditiva alla coscienza musicale, ossia dall’ascolto empirico alla consapevolezza dell’ascolto cosciente) ma anche le determinazioni fondamentali dell’uomo nella sua relazione col mondo, con la società umana e con la trascendenza. Ne scaturisce un approccio alle questioni della musica che partendo da basi fisiologiche, matematiche e filosofiche si estende a orizzonti metafisici e perfino morali, ponendo al centro esigenze di natura etica: l’esigenza etica, scrive Ansermet, «è più pesante ancora da sostenere che l’esigenza economica, perché se questa non è soddisfatta, si muore, mentre se la prima non è soddisfatta, si vive con un peso sul cuore, fino alla morte. Ecco perché la vita sociale deve essere governata dall’ethos e non dall’imperativo economico».

Che sia un direttore d’orchestra e non un filosofo a dirci, a ricordarci queste cose, è già di per sé importante. Ancora più importante se a farlo è un interprete strenuamente impegnato, nella sua epoca, a difendere la musica moderna, a battersi per gli autori contemporanei e per le creazioni – spesso tenute a battesimo per la prima volta –

del proprio tempo. E tuttavia capace di porre distinzioni, di stabilire i confini; uno su tutti: quello della tonalità. Per Ansermet la tonalità, risultato di uno sviluppo fenomenologico plurisecolare, e come tale indagato nelle sue implicazioni storiche, è il limite oltre il quale si estende la terra di nessuno: la terra della libertà incondizionata e dell’intellettualismo, sottratta alla vita organica e alla scelta etica, conduce direttamente all’oscuramento della coscienza, alla morte per aberrazione. «A questo punto – conclude Ansermet, – la musica non sarà più, nemmeno in dettaglio, un’espressione dell’uomo e non esprimerà più nulla se non l’attività combinatoria del musicista». Non c’è bisogno di condividere questa tesi apocalittica – l’apocalisse come epifania di una visione globale del senso dell’arte – per riconoscere in essa il nodo cruciale che serra la sorte e il valore del pensiero musicale in rapporto a se stesso e alla sua destinazione futura.

I Quaderni 1924-1954 di Wilhelm Furtwängler sono invece una sorta di compendio di una visione della musica, e delle sue afferenti questioni, non più fenomenologica, ma idealistica, spirituale nel senso più pieno del termine: eppure le conclusioni suonano assai simili. Partiti, come sa chiunque ne abbia ascoltato le esecuzioni, da punti di vista opposti, Ansermet e Furtwängler si trovano accomunati nell’affermare che le teorie segnano un regresso della vera pratica musicale. «Ci fu un tempo – scrive Furtwängler, – in cui la creazione era naturale, e non appoggiata da teorie, in cui una visione comune univa creatori e ascoltatori; oggi però l’equilibrio è infranto, la musica è diventata l’illustrazione di una costruzione intellettuale e quest’ultima ne costituisce l’elemento principale. Che io sappia, non ci si pone quasi mai la domanda più importante, ossia sapere se questa musica corrisponde veramente all’idea che la sottende». È davvero una bella domanda, di fronte alla quale si rischia di rimanere senza risposte alternative. Eppure sappiamo che non è così. Che la musica abbia veramente portato a termine la sua missione creatrice, è un’ipotesi che contrasta con le riflessioni fondamentali sulle relazioni dell’uomo e della musica: le preoccupazioni di due grandi interpreti sono stimoli che inducono ad approfondire queste riflessioni, a fissare orientamenti e valori nella ricerca di una nuova espressione artistica.

 

Ernest Ansermet, I fondamenti della musica nella coscienza dell’uomo, traduzione di Anna Maria Ferrero. Udine 1995, Campanotto Editore, 632 pp.; Wilhelm Furtwängler, Quaderni 1924-1954; traduzione di Roberta Caprioglio, Udine 1996, Campanotto Editore, 142 pp.

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