Von Bülow, musica e tradimenti epocali

V

Nel centenario della morte


Ci sono figure, nell’ambito della musica ancor più numerose rispetto alle altre arti, che per quanto abbiano avuto un ruolo di primaria importanza nei fatti della storia appartengono alla schiera dei perdenti, degli sconfitti.

Prendiamo per esempio gli esecutori. Il ricordo ineluttabilmente impallidisce quando la loro opera si sia svolta in epoche eminentemente produttive, in diretta funzione della creazione e a suo sacrificio, e non sia ammessa a godere dei benefici indiretti dell’epoca tarda della riproduzione. Nomi di imprese titaniche, confinati in secondo piano.

Hans von Bülow è una di queste figure. Ricordarlo a cent’anni dalla morte significa ripercorrere tappe fondamentali della storia della musica dell’Ottocento per imbattersi in un personaggio di statura epica, che visse da protagonista eventi grandiosi e ne fu segnata profondamente, quasi tragicamente: mantenendo tuttavia anche nell’ombra la sua dignità e il suo carattere. Un’istintiva simpatia lo accompagna nel ricordo, appunto, di tante battaglie combattute per affermare dell’arte una missione che, pur intimamente connessa con un’epoca felicemente creativa, già aveva in sé i riflessi di un distacco doloroso, via via che i risvolti interpretativi si stratificavano nelle variabili del gusto e dello stile; ed è una simpatia che abbraccia anche il lato umano d un personaggio difficile e aspro, tanto intransigente quanto fragile, toccato durante la sua vita da prove difficili e aspre.

La carriera di I lans von Bülow fu letteralmente sconvolta dalla conoscenza di Wagner: dell’uomo e della sua musica. Ne divenne un fanatico ammiratore, e si mise a sua disposizione con lo zelo di un discepolo. Accanto a Wagner, fu sedotto da Liszt, che lo spronò a perfezionarsi nello studio del pianoforte, strumento del quale Bülow aveva già scalato molte cime: individuando subito fra queste, lui che era stato allievo di Friedrich Wieck, ossia dire testimone del romanticismo allo stato nascente, i vertice del classicismo rivoluzionario in Beethoven. Di Beethoven Bülow fu il primo interprete moderno, se non il primo interprete tout court: il primo, con Liszt, a seguirlo in cicli organici, sovente monografici, e a memoria, in concerto, fuori del rituale divistico delle «accademie». A differenza di Liszt e dei compositori che eseguivano di preferenza le proprie musiche, Bülow fu un esecutore esclusivo di musiche altrui: un virtuoso per tecnica e fantasia, un interprete per sapere o consapevolezza stilistica. Lo attestano, fra l’altro, le numerose edizioni commentate di opere classiche, da Bach alle Sonate di Beethoven, fino agli Studi di Chopin: pietre angolari di un magistero didattico tuto rivolto alla ricreazione.

Il passaggio dal pianoforte alla direzione d’orchestra fu la conseguenza di un’attitudine innata e di impulsi prepotentemente innescati dai tempi. Liszt aveva abbandonato il pianoforte per dedicarsi al poema sinfonico, Wagner veniva delineando un intero mondo di passioni e di scatenamenti sonori nel teatro potenziato dalla musica: Bülow ne fu come travolto, vocato. E sventuratamente rispose. La sventura non tu tanto di mettersi al servizio di quell’arte bruciante, ché anzi del suo fuoco seppe dare una visione salda e oggettiva, quanto di lasciarsi coinvolgere in una partita ferocemente distruttiva, addirittura micidiale per i sentimenti. Del suo maestro Liszt aveva sposato la figlia, Cosima; e quando colei si innamorò, ri cambiata, di Wagner, Bülow entrò a far parte di un triangolo che alla lunga imponeva la soppressione di un lato: il suo. Che tutto ciò avvenisse, in una penosa vicenda di tradimenti e menzogne, negli stessi anni in cui le fiamme del genio, da lui sostenute, ardevano più alte nei territori puri dell’arte, tra gli abissi oscuri del Tristano e le lucenti distese dei Maestri cantori, accresce forse lo stupore, ma non intacca il valore del legame.

Niente fu però come prima. Aveva perduto lui. Non solo una donna e due figlie: un universo di ideali. Niente più avrebbe potuto essere come prima. Eppure Bülow, dopo aver cercato la fuga da se stesso e dai fantasmi che lo tormentavano in improbabili avventure americane, quasi stordendosi in una frenetica attività concertistica (la sua nevrosi si manifestò allora nella strana abitudine di eseguire la Nona di Beethoven due volte nello stesso concerto), seppe a poco a poco ritrovare l’equilibrio e la misura classica che erano, saldissime, al fondo della sua natura. Prima a Hannover, poi a Meiningen, in una tarda reviviscenza di splendide corti, infine a Berlino, impose nuovi criteri d’intendere la professione direttoriale: infinite prove di proverbiale durezza, tutte a memoria, programmi che conferivano dignità di cultura alle proposte e per la prima volta accoppiavano il repertorio alle novità, in fecondo connubio. L’amore per Brahms, generoso e disinteressato non meno di quello che aveva acceso la sua giovinezza, non fu un antidoto a lontani veleni ma semplicemente il riconoscimento di una grande personalità, vicina alla sua indole nell’ardito proposito di rinnovare ideali classici. Anche questa volta non fu ricambiato come avrebbe meritato. Il destino, che lo aveva fatto partecipare ad alcune delle più grandi creazioni del secolo, gli aveva chiesto in cambio il dolore dell’anima. Richard Strauss, che di Bülow fu fervido estimatore e che fece in tempo ad ammirarne il rango direttoriale, molto imparando e assimilando, in un commosso ricordo di lui ha tracciato un profilo finalmente riconoscente e pieno d’affetto. Un’affermazione può essere scelta come epigrafe: «Bülow traeva conclusioni necessarie e convincenti dalla forma e dal contenuto dell’opera che eseguiva». Anche dalla vita, dalle sue svolte fatali, aveva saputo trarre conclusioni altrettanto semplici e limpide.

da “”La Voce””

Articoli