Wolfgang Sawallisch, l’equilibrio dei 70 anni

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Li festeggerà come tutti gli anni a Grassau, sulle montagne prospicienti il Chiemsee, dove la splendida villa per le vacanze è diventata ormai la sua dimora stabile, il suo piccolo Walhalla: specialmente ora che dopo ventidue anni di regno Monaco non è più il centro della sua attività. E pochi giorni più tardi partirà per Philadelphia, per inaugurare la sua prima stagione di direttore musicale con la sua nuova orchestra, per riprendere da capo, con dolcezza e serenità, la perlustrazione mai interrotta del grande repertorio sinfonico classico e romantico, quello che più di ogni altro non ha scadenze o precedenze nel calendario dello spirito, nell’agenda professionale di un vero, grande direttore d’orchestra.

Wolfgang Sawallisch, è di lui che stiamo parlando, compie settant’anni il 26 agosto. Nella vita di un direttore d’orchestra quest’età può segnare un traguardo, ma può essere anche, come la storia insegna, l’inizio di una fase molto produttiva di raccoglimento, sostanziata di sapere e di esperienza. Il tardo stile di un direttore presenta molte analogie con quello di un creatore, fino a configurare una svolta, talvolta un cambiamento. Nel caso di Sawallisch questo è avvenuto con la decisione di ritirarsi dal teatro, nel quale ha lavorato per quasi quarant’anni con incarichi non solo artistici, fedele a un’idea di responsabilità ereditata dai suoi predecessori e proseguita con coerenza. Non c’è opera del grande repertorio tedesco che egli non abbia diretto, fino ai cicli completi di Wagner e Strauss eseguiti a Monaco, nei quali la forza della tradizione già cominciava a scontrarsi con un gusto registico attualizzante e sperimentale. Fu un suo merito, in quel frangente, accettare la sfida del rinnovamento, ma saperne anche indicare con precisione il limite, senza abbandonare con gesti plateali il suo posto: non prima almeno che si fosse concluso il suo impegno.

L’equilibrio è una dote rara, ed è quella che ha sempre contraddistinto Sawallisch, sia come persona sia come interprete. Ciò che ha sempre reso attendibili come poche le sue esecuzioni è la capacità di far capire, della musica, l’essenziale, l’arco dei valori contenuti in una pagina, in una partitura, nei dettagli e ancor più nella visione generale. Con lui siamo condotti per mano alla comprensione di ciò che stiamo ascoltando, semplicemente e profondamente; al punto che possiamo anche dimenticarci tranquillamente della guida, sicuri come siamo che la fiducia è ben riposta. Questo patto implicito tra pubblico e interprete è stato fin dall’inizio il segreto del successo di Sawallisch, la ragione della stima e dell’ammirazione che lo circonda; e va aggiunto che in Italia questo riconoscimento gli è venuto, unanime e affettuoso, fin dalle sue prime apparizioni, e si mantiene intatto ancora oggi.

La soglia dei settant’anni significa per Sawallisch l’apertura di un nuovo ciclo, non solo il ritorno su autori e musiche che ha sempre frequentato ma anche la testimonianza definitiva della sua arte di interprete. Quando una volta gli facemmo osservare che in fondo aveva inciso pochi dischi, rispose che ogni cosa ha il suo tempo, che il ritmo naturale delle conquiste non va forzato, nella vita come nella musica. Equilibrio e discernimento, le sue qualità, anche contro la corsa al successo esteriore, volgare. Quel tempo è venuto, e oggi Sawallisch può mettere a frutto la sua maturità anche in una serie di presenze discografiche emozionanti. Ma ciò non cambierà il suo modo di intendere e praticare la musica, inconcepibile senza il contatto vivo con gli esseri umani e la loro storia. Per questo a Grassau, il 26 agosto, si farà musica tra amici, suonando e cantando, come se quello, per una sera speciale, fosse l’unico, più bel palcoscenico del mondo.

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