Belcanto di Spagna

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A prima vista, la plaza de toros di Siviglia è una delusione. Te l’aspetteresti, chissà perché, massiccia, imponente, una specie di Colosseo o di Arena di Verona dalle proporzioni ancora più fenomenali. Niente di tutto questo. La snellezza, perfin fragile, dell’edificio contrasta in modo singolare con l’immagine amplificata della corrida, della feria della Semana Santa con le sue grandiose e pittoresche processioni. Un fascino sottile, inebriante ma non plateale; sembra aleggiare su luoghi che la musica ha immortalato e fissato come il simbolo stesso della Spagna. Carmen, Don Giovanni, il giardino notturno dell’ultimo atto delle Nozze di Figaro, la bottega del barbiere, riemergono in questo paesaggio incantato con una forza di verità tanto più penetrante di qualsiasi ricostruzione affidata alla finzione teatrale. Ed è una verità intima, irta di sfumature e di sottintesi, affatto irriducibile all’immagine da cartolina illustrata di una Spagna solare e passionale, tutta immediatezza e gesti sfrenati. La sua misura è davvero quella dell’ambiguità e della sottigliezza che Mozart colse con miracoloso equilibrio, e che spinse Bizet a dare alla tragedia di Carmen le proporzioni asciutte di un opéra-comique.

Una serata d’opera al Liceu di Barcellona, il più importante teatro spagnolo, costituisce un’esperienza sotto molti aspetti inattesa. Di colpo si è trasportati in un clima irreale per le nostre abitudini, che fa venire alla mente le descrizioni degli spettacoli d’opera dell’Ottocento. Il pubblico, eterogeneo, pittoresco, è coprotagonista sempre presente e partecipe: sottofondo rumoroso costante durante la rappresentazione – il silenzio in sala è bandito come in una festa tra amici –, esplode ad ogni minima occasione fornita dai cantanti, plaudendo o dissentendo con sonore manifestazioni di gioia o di delusione. Non sembra che sia la musica l’oggetto dell’attenzione, quanto piuttosto il rito della sua evocazione per mezzo dei cantanti: sacerdoti che ogni volta debbono essere all’altezza del proprio privilegio. La generosità nei loro confronti può raggiungere la fiducia illimitata e l’idolatria, ma non tollera inganni o mistificazioni. Gli spagnoli si reputano i depositari del belcanto più ancora degli italiani: si accontentano perciò di orchestre mediocri e non sentono il bisogno di direttori d’orchestra demiurghi.

È probabile che questa situazione non sia destinata a durare ancora a lungo. Il processo di internazionalizzazione seguito alla fine della dittatura di Franco comincia a incidere anche sul costume musicale. Madrid è ormai una metropoli la cui vita musicale non differisce di molto da quella dei maggiori centri mondiali: i solisti di grido, i grandi direttori e le grandi orchestre vi fanno tappa in tournées sempre più numerose, l’attività concertistica si va espandendo anche con la promozione delle forze locali, il repertorio autoctono è messo a confronto con quello delle altre civiltà. In questo periodo di transizione e di vivacissimi interessi le tradizioni del passato proiettano la loro identità sul presente, ma non hanno ancora trovato una traduzione in strutture capaci di operare la saldatura. L’arretratezza dei Conservatori, fermi a programmi e ordinamenti obsoleti, con sbocchi professionali incerti, è una realtà di difficile soluzione in tempi brevi: da cui si salvano appena quei corsi di studi che riguardano la materia basilare del Folklore – due anni di formazione obbligatoria teorica e pratica sulle tradizioni musicali popolari – e determinati strumenti nazionali, come la chitarra o la fisarmonica, oppure il canto, vanto della scuola spagnola. Il problema, assai critico, è come conciliare questo patrimonio irrinunciabile con le esigenze di una scuola e di una società moderna, dinamicamente aperte verso nuovi orizzonti.

Il caso della musica contemporanea è illuminante, in un Paese che ancora all’epoca della guerra civile poteva vantare esponenti come Falla e Turina. Al Conservatorio di Madrid esiste un laboratorio di musica elettronica, che però non è ancora entrato in funzione per mancanza di personale specializzato. Per molti anni i migliori compositori se ne sono andati, per trovare all’estero spazi di libertà e di lavoro: oggi si cerca di farli tornare in patria, ma è difficile poter assicurare loro condizioni professionali e artistiche adeguate. In una recente inchiesta sulla rivista musicale “Ritmo” la situazione della vita musicale in Spagna era definita «caotica». Forti spinte nazionalistiche si oppongono alla modernizzazione in atto: nella stessa inchiesta un aiutante della Biblioteca di Madrid denunciava l’indifferenza di fronte alla sua scoperta di una partitura autografa di Arriaga e rivelava che nel Conservatorio vi sono più di 30.000 volumi ancora in attesa di classificazione. Per contro, il Teatro de la Zarzuela di Madrid continua a sfornare deliziosi spettacoli di quel genere comico ch’è tipicamente spagnolo e gelosissimo delle sue tradizioni: caso abbastanza raro di una produzione teatrale vivente nella coscienza popolare e consumata secondo costumi antichi eppure continuamente rinnovati, alla stregua di una vera, palpitante «novità del giorno».

È impossibile non entusiasmarsi di fronte alle tracce ancora vive di una civiltà così ricca di fascino e di memorie, di magico incanto, come quella spagnola.

Ma è oltremodo difficile accordare le impressioni di una musicalità inquietante e sfuggente, rimasta immutata nei secoli in un silenzio carico di suoni interiori, che improvvisamente si rianimano e respirano dolcemente nel clima assorto di Siviglia o Granada, con le manifestazioni di un eccesso sfogato e disperato, quasi bisognoso di esprimersi e liberarsi fisicamente, di una serata all’opera («noi spagnoli e voi italiani», mi sussurra il vicino di poltrona sgranocchiando un torrone e bevendo acquavite, «abbiamo in comune due passioni: l’opera e il calcio»; e io non so se rallegrarmene). La notte di Barcellona inghiotte nelle ramblas gli spettatori che sciamano appagati: per molti la festa è appena cominciata. Domani nascerà la nuova Spagna, nazione moderna e orgogliosa al passo con i tempi, in piena crescita musicale, con proprie consapevolezze e funzioni. Intanto è bello godersi la notte.

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