Dopo aver limitato per molti anni la sua attività discografica in nome del sano artigianato delle esecuzioni dal vivo, Wolfgang Sawallisch sembra aver compreso che la vita di un grande direttore non può prescindere dal mercato del disco. Il nuovo contratto in esclusiva firmato con la Emi lascia prevedere che da ora in avanti Sawallisch sarà sempre più presente in questo campo, soprattutto con l’orchestra di Philadelphia che, dopo la rinuncia di Riccardo Muti, lo ha eletto a suo direttore principale. Ma già prima di questa svolta nella sua carriera, che a sua volta prelude al ritiro da direttore dell’Opera di Monaco a partire dal 1993, Sawallisch ha avviato alcuni progetti con altre importanti orchestre europee, volti a lasciare testimonianza della sua arte direttoriale soprattutto nel grande repertorio classico e romantico, di cui del resto egli è oggi uno degli ultimi autorevoli interpreti provenienti dalla scuola storica del passato.
In effetti, che un Sawallisch non lasciasse traccia nel disco con gli autori e le opere che da sempre sono stati i suoi cavalli di battaglia, sarebbe stato un vero peccato. Non solo in campo sinfonico, ma anche in campo teatrale. E che questi due filoni della grande musica tedesca siano in lui strettamente connessi, al punto da sembrare l’uno il prolungamento dell’altro in una sostanziale identità di visioni interpretative, lo dimostra l’uscita ravvicinata di una nuova produzione dell’Elektra di Strauss insieme con i primi due dischi dedicati al ciclo completo delle Sinfonie e delle musiche orchestrali di Brahms (si tratta precisamente della Seconda Sinfonia abbinata alle Variazioni su un tema di Haydn e della Quarta completata dalla Ouverture tragica, tutte per la Emi).
Pur non lavorando in questo caso con i complessi che abitualmente dirige, Sawallisch riesce a dare in questi dischi una immagine assolutamente rappresentativa di sé e del modo di considerare i testi che affronta. E tanto l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese in Elektra quanto la Filarmonica di Londra in Brahms realizzano le sue intenzioni a meraviglia, quasi fossero abituate da sempre a lavorare con lui. Il risultato è di altissima qualità, in Elektra addirittura portentoso: anche per merito di una compagnia di canto impeccabile (Eva Marton, Elektra; Cheryl Studer, Chrysotemis; Mariana Lipovsek, Clitennestra; Bernd Weikl, Oreste; Hermann Winkler, Egisto). Se a ciò si aggiunge la qualità perfetta della registrazione, che sembra ricreare l’ambiente del teatro in un sapiente dosaggio di sfondi e primi piani, si potrà concludere che questa edizione dell’Elektra ha tutte le carte in regola per entrare nei posti alti della classifica, se non delle vendite almeno dei risultati artistici.
Naturalmente è l’Elektra di Sawallisch: vista cioè con quella civiltà e quella misura che contraddistingue le interpretazioni di questo direttore di indole fondamentalmente classica. Le nervose inquietudini e le ossessioni che ne permeano la scrittura sono rese quasi si trattasse di una tragedia moderna ma in una dimensione di equilibri e di proporzioni colte con nobile gesto di sintesi: musica pura, assolutamente teatrale nel modo in cui aderisce al testo ma innalzata sempre in una dimensione di bellezza e di chiarezza espressiva. E non stupisce così che fili solidissimi leghino questa partitura perfino al mondo di Brahms, nel modo in cui Sawallisch lo accosta quasi vedendovi una faccia assai diversa del processo compositivo, ma all’interno della fondamentale unità di una civiltà che guardandosi indietro ritrovava in un epilogo sfolgorante le ragioni stesse della sua esistenza.