Luigi Dallapiccola: Goethe-Lieder per mezzosoprano e 3 clarinetti

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Sulla genesi dei Goethe-Lieder, composti nel 1953 su testi tratti dal West-östlicher Divan, riproduciamo parte della nota illustrativa scritta dall’autore: «Per quanto il West-östlicher Divan di Goethe mi fosse familiare sin dall’epoca della mia giovinezza, soltanto da circa vent’anni a questa parte la figura di Suleika cominciò ad assumere nella mia fantasia contorni netti e definiti. Il fatto che Schubert abbia composto due Lieder der Suleika non mi portò ad approfondire la conoscenza di tale personaggio; il fatto che Goethe abbia parlato di un tale Jussuf non mi fece nemmeno sospettare la sua vera essenza. Appassionato lettore di Thomas Mann, e soprattutto della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli, debbo al Mann, oltre a tanti altri motivi di riconoscenza, quello di avermi chiarito chi Suleika fosse stata e chi fosse stato Jussuf. Nella quarta parte della sua grande opera, Giuseppe il nutritore (si veda il capitolo «Il tesoro sommerso»), il Mann ci narra come e con quali modificazioni la storia della infelice Mut-Em-Enet (con questo nome ci viene presentata la moglie di Putifarre) sia passata in Persia: Suleika è il nome che la leggenda persiana attribuì a Mut-Em-Enet; Jussuf quello dato al primo figlio di Giacobbe e di Rachele. E soltanto dopo un simile chiarimento che la figura di Suleika mi apparve definita: per quel tanto almeno che fosse necessario per mettere la mia fantasia in movimento».

Forse anche per questo entusiasmante riferimento al personaggio di Suleika e a tutto ciò che esso rappresentava nella immaginazione del compositore, i Goethe-Lieder sono uno dei lavori più vibranti e fantasiosi di Dallapiccola, nel quale, nonostante la ferrea logica costruttiva, l’invenzione musicale (e anzitutto melodica) si dipana con varietà d’accenti e scorrevolezza suprema: eco e insieme superamento di quel lirismo decantato e assorto in stupefatte contemplazioni che aveva contraddistinto, prima degli anni Cinquanta, la sua ispirazione più originale (si pensi soltanto alle Liriche greche). Inconsueto, ma del tutto pertinente al clima poetico dell’opera, la scelta dell’organico strumentale, costituito da tre clarinetti (piccolo in mi bemolle, in si bemolle, basso in si bemolle). Ciò consente a Dallapiccola di variare impercettibilmente e con tenui arabeschi contrappuntistici il timbro omogeneo di fondo, sul quale la voce si erge per disegnare cangianti volute melodiche o nel quale viceversa scompare come assorbita dal tessuto strumentale. Il pezzo è suddiviso in sette brevi brani ognuno dei quali definisce in forma quasi epigrammatica uno stato d’animo o un’immagine, in stretta aderenza con il testo; ma presenta anche una rete di corrispondenze e di simmetrie precise, che danno all’insieme una forma rigorosamente unitaria e chiusa. Così il primo numero (Lento) è in relazione con l’ultimo (Quasi lento), il secondo (Sostenuto; declamando) con il sesto (Molto moderato; teneramente), il terzo (Volante; leggero) con il quinto (Estatico; contemplativo); e lascia, isolato al centro, il quarto brano (Impetuoso; appassionato), bruciante, fulminea evocazione di una bellezza eterna che vive, annullandosi, nell’anelito felice all’attimo fuggente.

Firenze nel dopoguerra: aspetti della vita musicale dagli anni ’50 a oggi, Quattro concerti e una tavola rotonda, a cura di Leonardo Pinzauti, Sergio Sablich, Piero Santi e Daniele Spini.

Dalla collana Musica nel nostro tempo – documentazione e ricerche, Opuslibri, 1983.

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