Luigi Dallapiccola – Volo di notte, un atto su libretto del compositore, da Vol de nuit di Antoine de Sait-Exupéry

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Il primo lavoro teatrale di Luigi Dallapiccola, l’atto unico Volo di notte su libretto proprio ricavato dall’omonimo romanzo di Antoine de Saint – Exupéry pubblicato nel 1931, fu composto negli anni immediatamente precedenti la guerra, tra il 1937 e il 1939, ed eseguito per la prima volta sotto la direzione di Fernando Previtali (scenografo Baccio M. Bacci, regista Guido Salvini) al Teatro della Pergola di Firenze per il Maggio Musicale Fiorentino il 18 maggio 1940, in un’atmosfera surriscaldata: si parlò e si discusse molto dell’opera, che generalmente piacque, ma ancor più le discussioni e le preoccupazioni vertevano sulla possibilità dell’entrata in guerra dell’Italia. Per formazione e per cultura, per passione e per innato senso del dramma, anche come musicista italiano, Dallapiccola era predestinato a cimentarsi un giorno col teatro, anche se le sue idee e convinzioni, orientate verso una prospettiva europea, differivano nettamente dalla cultura autarchica imperante e dal filone dominante del melodramma verista. Più che dal neoclassicismo fiabesco di Casella o dalla tragedia lirica di Pizzetti, si sentiva attratto dal “”teatro a pannelli”” profondamente innovativo di Malipiero; ma a orientarlo era soprattutto l’idea moderna di dramma musicale nella quale forme aperte e forme chiuse si integrano a vicenda, come in Berg, e il crescendo di emozione dato dall’azione si concentra nella musica.

Quanto al soggetto, la scelta di un argomento contemporaneo, un episodio del periodo eroico dell’aviazione moderna, se da un lato era in contrasto con la tradizione teatrale tendente a privilegiare epoche lontane o non ben definite, dall’altro lato consentiva di calare nell’attualità, al tempo stesso individuandoli e amplificandoli, temi e riflessioni di carattere universale: la lotta dell’uomo contro qualcosa che è più forte di lui, il significato dell’azione e del progresso in quanto tale, il senso e la giustificazione dell’agire umano in rapporto alla trascendenza. Nelle intenzioni dell’autore, i sentimenti del protagonista, mossi dalla convinzione che “”solo l’avvenimento in cammino ha importanza””, sono quelli di “”tutti gli uomini che lavorano e che lottano per il raggiungimento di un ideale””. L’interrogativo di fondo che viene posto è: fino a che punto è lecito spingersi per raggiungere questo ideale? In questo senso una storia della nostra epoca viene innalzata a espressione universale di un conflitto di idee e di valori, il cui esito rimane fortemente problematico e aperto. Ma di una intuizione dapprima inconsapevole l’autore diverrà col tempo pienamente cosciente: “”A mia insaputa”” – scriverà Dallapiccola – “”in Volo di notte, per la prima volta nella mia vita, ho compiuto la mia scelta: di preferire coloro che soffrono a coloro che risultano vincitori””.

 

La trama

Un aeroporto presso Buenos Aires, 1930 circa.

Il signor Rivière, direttore di una compagnia di navigazione aerea a Buenos Aíres, ha istituito i voli notturni per accelerare il traffico postale. Al calar della notte, mentre sta aspettando il rientro di tre corrieri, si intrattiene con il vecchio caposquadra Leroux disquisendo dell’amore e del tempo (scena prima). Mentre i primi due corrieri arrivano sani e salvi, e il pilota Pellerin, di ritorno dal Cile, può raccontare del ciclone attraversato sorvolando le Ande, il pilota del corriere di Patagonia, Fabien, segnala d trovarsi in gravi difficoltà a causa di un uragano: scarsità di carburante e furia crescente degli elementi ne mettono seriamente in pericolo la vita (scena seconda).

Tra gli impiegati si leva una discussione sul senso e la giustificazione dei voli notturni; Rivière, con fermezza, conferma all’ispettore Robineau la prossima partenze del corriere d’Europa (scena terza). La moglie di Fabien, preoccupata per il ritardo del marito, viene a chiedere notizie. In un drammatico colloquio con Rivière, lo accusa di vivere soltanto per la sua idea, senza sentimenti umani: ella vede in Rivière il nemico contro il quale non è possibile reagire. Ma è la sola a intuire anche un’altra verità, sconosciuta a tutti fuorché a Rivière stesso: benché domini e sia temuto da tutti, egli è un essere infelice e senza amore, condannato alla solitudine (scena quarta).

Via radio, il radiotelegrafista si mette in comunicazione con Fabien, ne ripete le ultime comunicazioni disperate, l’invocazione alle stelle: poi il silenzio (scena quinta). Sull’aeroporto si diffonde la notizia della caduta dell’aereo e della morte di Fabien. Gli operai e le maestranze si rivoltano e invadono l’ufficio di Riviere. Ma il tumulto si placa, come per incanto, quando questi ordina con voce ferma la partenza del corriere d’Europa. La massa è soggiogata: quegli stessi uomini che avevano poc’anzi pronunciato il suo nome con ferocia bestiale, ora lo ripetono con fervore quasi religioso. La volontà di Riviere ha vinto. Il corriere d’Europa parte. Tornato nel suo studio, un’altra volta solo, nel silenzio della notte egli rimedita amaramente le parole della signora Fabien: “”Riviere il grande, Riviere il vittorioso, solo, trascina la catena della sua pesante vittoria”” (scena sesta).

 

La struttura drammatico-musicale

 

L’atto unico Volo di notte è diviso musicalmente e drammaticamente in sei scene, ben differenziate tra loro, che si corrispondono secondo una disposizione speculare: la prima con la sesta, la seconda con la quinta, la terza con la quarta. Una caratteristica comune alle sei scene è data dal fatto che ciascuna è preceduta da una Introduzione. In assenza di stasi liriche, di arie, duetti e concertati, la tenuta delle singole scene, o di parte di esse, è assicurata da forme strumentali chiuse: la prima scena si conclude con un “”Movimento di Blues”” suonato da un’orchestrina interna mentre si ode fuori scena la voce di una canzonettista che contrappunta le disquisizioni sull’amore tra Riviere e il vecchio caposquadra Leroux (“”Amore, gioia del mondo, amore gioia!””); il nocciolo della terza scena, nella quale si preannunciano le gravi notizie riguardanti la sorte di Fabien, è un “”Pezzo ritmico””; la quinta scena, quella tra Riviere e il radiotelegrafista, è costruita in forma d’un “”Corale con Variazioni e Finale””; la scena conclusiva che segue la rivolta è un “”Inno””. Così facendo Dallapiccola si riallaccia non soltanto alla sua antica predilezione per le forme strumentali chiuse nella divisione architettonica del lavoro ma anche a esempi illustri, che dal Sette e Ottocento giungono fino a Busoni e Berg.

Altro elemento di stabilità è dato dall’impiego della musica delle Tre Laudi, una composizione d’impronta religiosa per voce e strumenti del 1936-1937, che ritorna in momenti decisivi dell’opera. Il tema iniziale della prima Lauda “”Altissima luce con gran splendore””, una linea melodica formata da dodici note e dalla loro forma retrograda innestata sull’accordo perfetto di Si maggiore, suonata nell’opera da una viola sola, compare nell’Introduzione alla prima scena e nella scena che chiude l’atto unico; inoltre accompagna la caduta dell’aereo di Fabien e le sue ultime parole “”Scorgo le stelle!”” con una voce che vocalizza fuori scena le note di “”Stella marina che non sta mai ascosa””. Il felice atterraggio del corriere del Cile è contrappuntato dalla musica della seconda Lauda, “”Ciascun s’allegri””.

Nel dialogo della quarta scena tra la signora Fabien e Riviere, all’ansiosa domanda “”Ritornerà? Potrà tornare?””, risuona l’intensa curva melodica dell’invocazione “”Madonna sancta Maria / Recevi chi vuol tornare”” della terza Lauda. La rifusione della materia musicale delle Tre Laudi nell’opera avviene secondo l’antica tecnica della “”parodia”” usata dai contrappuntisti fiamminghi, ma si sostanzia anche di precisi valori simbolici, proiettando il dramma in una sfera astratta, spirituale se non religiosa. Nella quinta scena, con trovata geniale, Dallapiccola affida il racconto della morte di Fabien dapprima al radiotelegrafista che, a terra, ne capta via radio i messaggi disperati; poi, a un tratto, si ode direttamente la voce di Fabien.

Da questo momento il radiotelegrafista comincia a parlare in prima persona, quasi immedesimandosi, gradatamente, col crescere dell’emozione, nel pilota stesso; ed è come se noi “”udissimo”” Fabien, lo udissimo nelle vertiginose discese con l’apparecchio che non è più in grado di dominare, nel suo bisogno di salire, salire verso la luce, trascendersi per vedere le stelle, fino all’ultima comunicazione: “”Non abbiamo più essenza””. Dallapiccola risolve così il problema dell’unità di luogo facendo del radiotelegrafista, sull’esempio della tragedia greca, una specie di “”storico””, che funge da intermediario fra ciò che avviene sulla terra e il dramma che si svolge al di sopra delle nubi.

 

In Volo di notte Dallapiccola porta innanzi le sue precedenti ricerche sonore, costruttive e melodiche. L’approfondimento e l’estensione della tecnica dodecafonica non soltanto conducono al chiarificarsi dell’espressione, al purificarsi della materia, ma danno anche un contributo essenziale all’unità strutturale dell’insieme, senza sacrificare due delle qualità peculiari dello stile dallapiccolinano: l’attenzione per il suono puro, adamantino, stellare, quasi riconquistato alla musica del nostro tempo nella sua primordiale essenza, e la sensibilità per la condotta melodica,

cantabile e perfino ariosa, espressiva anche nella declamazione e costellata da incisi memorabili di un lirismo assoluto, lucente. Il procedere, il progredire, con una fede illimitata nel futuro, sono le cose che Dallapiccola sentiva di avere in comune col signor Riviere. Riviere è dunque giustificato, ma nell’opera il giudizio sul suo comportamento, e sulle ragioni che ne stanno alla base, rimane sospeso: condannato alla solitudine dalla sua stessa vittoria (una vittoria incompiuta e amara, che

si scontra con l’orrore della morte), è assolto per la sua sofferenza, quando nel dolore della signora Fabien intravede il dolore di tutti gli uomini e la propria impotenza di fronte al mistero.

Ogni interpretazione dell’opera che prescinda da queste considerazioni rischia di essere fuorviante: sia che, come pure è stato fatto, la si colleghi a una ideologia del tempo, vedendo in Riviere una sorta di dittatore moderno alla Mussolini pronto a immolare vite umane per un fine ritenuto superiore, sia che la si riduca a una prova di eroismo individuale infiammata dal mito irrazionale dell’azione e del progresso. Più che ambigua, la figura di Riviere è per così dire stratificata nella sua tragica responsabilità, che riflette un conflitto umano più generale. Ed è dai suoi contrasti interiori, dalla sfida alle forze della natura, che nasce l’etica stessa di questo “”dramma della volontà””. La quale è alla fine simbolica: il conflitto tra dovere e potere è necessariamente predestinato al sacrificio individuale, ma indica altresì, oltre il fallimento apparente, una meta più alta.

Così, mentre Riviere vive questa esperienza sapienziale trascinando in solitudine contro tutto e contro tutti “”la catena della sua pesante vittoria””, il pilota Fabien ha l’intuizione della trascendenza nel momento in cui intravede la morte: è lui, la vittima, lo sconfitto, a salvarsi dal mistero dell’ignoto, soccombendo nella battaglia contro gli elementi della natura ma ricevendo nel contempo la rivelazione della grazia.


Riccardo Chailly / Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico “Giuseppe Verdi” di Milano
Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano “Giuseppe Verdi” Fondazione, Stagione Sinfonica 2004-2005

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