L’utopia di Don Giovanni

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La figura di Don Giovanni ha ispirato interpretazioni sempre nuove presso molte generazioni di artisti. In quella dell’autore ceco Karel Beneš (1896-1969) essa assume tratti dichiaratamente moderni se non nuovi, tipici di una temperie culturale e letteraria novecentesca. Don Giovanni vi è visto alla luce della psicoanalisi, in una sorta di monodramma allucinato nel quale i personaggi secondari dell’azione sono tutti proiezioni del protagonista, ossia strumenti di tortura dei suoi complessi. Don Giovanni anela al dissolvimento, e nella attesa della morte contempla la felicità eterna: la sua condanna sarà dunque non la morte, ma la vita eterna, l’eterna pena del ricordare e del rivivere.

Su questo trattamento del soggetto di Don Giovanni (riflessioni su un soggetto più che vera e propria rappresentazione pensata per il teatro) il compositore Erwin Schulhoff (1894-1942) concepì un’opera di carattere molto particolare, a metà strada fra la “sinfonia drammatica” e la tragicommedia, lavorandovi tra la fine degli anni Venti e il principio del decennio successivo.

Flammen (Fiamme), l’opera in due atti e dieci quadri di cui stiamo parlando, vede ora la luce in una incisione discografica molto pregevole, compresa dalla Decca nell’ambito del ciclo dedicato alla cosiddetta “musica degenerata”, ossia a quei compositori che, non solo in quanto ebrei, furono messi al bando dopo la presa del potere dei nazionalsocialisti in Germania. Proprio Schulhoff, di questo ciclo, è forse l’autentica riscoperta, in campo prima sinfonico e cameristico e poi anche teatrale: a dimostrazione che anche nel repertorio novecentesco esistono ancora scommesse da onorare. La concezione drammatica di Schulhoff si distacca nettamente dal tipo d’opera a numeri chiusi e rimanda semmai al tardo romanticismo e all’espressionismo non solo per la scrittura ma anche per una certa sovrabbondanza di simboli e di richiami alla fusione di suoni, luci e colori, da questo punto di vista al titolo scelto per questa rivisitazione del mito di Don Giovanni – Flammen – allude, oltre che all’impulso erotico e all’anelito alla luce, anche alle fiamme purificatrici dell’inferno. Che sono, appunto, l’estrema utopia di Don Giovanni (le ultime parole del libretto, dette da un personaggio che incarna la Morte, sono inequivocabili: «Tanto vicina è la stella, annegata nella notte. Quel che ci recherebbe la salvezza, è ancora così lontano»); ma costituiscono, queste parole, anche l’utopia dell’autore, lacerato tra il ripensamento del passato musicale e la volontà di guardare al futuro imprimendovi la propria impronta. E se nel modo di rimettere in discussione una intera drammaturgia Schulhoff sottolinea chiaramente la passione per i vicoli ciechi, quasi compiacendosi di sbattere la testa contro il muro, nella sua adesione ai linguaggi della modernità, spinta fino al jazz, egli sembra voler realizzare una nuova visione della musica, tanto ironica e disincantata quanto mossa da una violenta ansia di liberazione. E proprio in questa impossibile sintesi di stili diversi sta l’aspetto più accattivante dell’opera: nell’essere cioè tragedia e commedia insieme, illusione e realtà, magia e demistificazione, riflessione e proposta. Da ascoltare più per quello che evoca che non per quello che concretamente fissa.

Una delle difficoltà di queste operazioni di recupero consiste spesso nella qualità della esecuzione, cui è raro veder partecipare artisti di prima grandezza. In questo caso l’esecuzione è eccellente non solo per la presenza di cantanti famosi ma anche per la direzione assai convinta e convincente di John Mauceri, capace di mettere in luce per così dire criticamente la brillante varietà della partitura; ossia di trattarla con lucidità intellettuale pari a calore espressivo.

 
Schulhoff, Flammen; Westi, Eagle, Vermillion, Prein, Wolf, Rias-Kammerchor Berlin
e Deutsches Symphonie-Orchester Berlin dir Mauceri.
Decca 444 630-2 (2 cd)

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