Muti e Brahms: fine di un viaggio tra le radiose forme della Sinfonia

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Con la pubblicazione della Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 (abbinata alle luminose Variazioni su un tema di Haydn op. 56a) si conclude il ciclo brahmsiano che Riccardo Muti ha realizzato con la Philadelphia Orchestra. Dopo Beethoven, Schubert e Schumann, un altro dei massimi autori dell’Ottocento sinfonico viene così ad arricchire il repertorio discografico del nostro direttore.

Muti vi giunge in un momento di felice maturità artistica. L’autorevolezza con cui affronta la più delicata fra le partiture sinfoniche di Brahms (delicata anzitutto per la sua collocazione storica in rapporto ai precedenti di tal genere, e per i problemi stilistici che ne conseguono) è la prova di uno studio tenace e scrupoloso, ma anche di una chiarezza di idee che s’impone tanto nella visione d’insieme quanto nella realizzazione dei singoli dettagli. Le premesse sono nella scelta dei tempi, equilibrati fra loro in modo da porre in rilievo le relazioni più che gli stacchi di una scrittura sovente in apparenza dispersiva e irregolare, e la fedeltà al testo: nel rispetto non solo di tutti i ritornelli (che danno coesione alla forma) ma anche delle indicazioni agogiche e dinamiche (un solo esempio su cui richiamare l’attenzione: la “messa di voce” che ricorre spesso nei passi solistici dei fiati, eseguita da Muti con morbidezza speciale e sensibilissima ai valori del canto).

La Prima con Muti dura esattamente 48 minuti e 35 secondi. Se si considera che vengono eseguiti i ritornelli, ciò significa un passo spedito e tendenzialmente rapido. La chiave di lettura è nella interpretazione del termine “sostenuto”, che ricorre nella introduzione e nella coda del primo movimento (“Un poco sostenuto”) e nel secondo movimento (“Andante sostenuto”); ma anche il tempo che rimpiazza lo Scherzo (“Un poco Allegretto e grazioso”) e la vasta introduzione lenta al Finale sono resi da Muti in modo più “sostenuto” del consueto, senza indugi e insistite sospensioni. Ne risulta un’interpretazione lontana sia dalle piacevolezze e svenevolezze viennesi, inclini a sottolineare il lato decadente o comunque tardo ottocentesco del linguaggio di Brahms, sia dalla robustezza e dalla spigolosità di matrice nordica, tramandata dalla scuola tedesca. Per Muti la Prima Sinfonia non nasce dalle brume autunnali di un crepuscolo del mondo e dal rimpianto per la forma perduta ma dalla consapevolezza radiosa, per quanto tinteggiata di ombre, di una conquista non solo del vero rango della Sinfonia ma anche di uno stile finalmente e fortemente individuato nel campo delle grandi forme. E dunque non è neppure guardata in funzione di ciò che apre al futuro, né analizzata freddamente per astrarne gli spunti progressisti. La differenziazione dello stile è premessa per giungere alla identificazione di uno stile personale. Nel Brahms di Muti è preminente l’attenzione per la forma in senso classico; ma non mancano momenti di autentica drammaticità, sbalzati con una nettezza di stampo quasi teatrale. Cadono di conseguenza gli stereotipi sul peso avuto da Beethoven nella lunga attesa di uno sblocco che permettesse di affrontare il genere della Sinfonia (Muti non dilata neppure il famoso passaggio del corno che prelude alla citazione beethoveniana dell’ultimo tempo e dà invece forte rilievo al corale dei tromboni), e si acuisce invece la presenza di Schumann, non solo in senso temporale, nella densità dell’intreccio delle voci e nella novità delle invenzioni e combinazioni strumentali. Sono, questi, solo alcuni dei motivi che rendono prezioso l’ascolto del disco come mezzo di riflessione e di comprensione dello stile di un autore, restituito alle sue esatte dimensioni.

Brahms, Sinfonia n. 1 op. 68; Variazioni su un tema di Haydn op. 56a; Philadelphia Orchestra, dir Muti, Philips 4262992 (1 cd).

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