Bach secondo Muti filologia sotto spirito

B

La Messa in si minore al Musikverein di Vienna
Lettura in perfetto equilibrio tra intuizioni poetiche e scienza analitica

Vienna – Con la Messa in si minore di Bach al Musikverein di Vienna, Riccardo Muti ha scalato una delle vette più impervie della sua carriera. Lo ha fatto con una tale sicurezza e convinzione da lasciare alla fine, se non sorpresi, francamente impressionati. Un Bach così non lo ricordavamo dai tempi di Karl Richter. Ed è proprio al suo esempio che sembrava volersi riannodare Muti, aggiungendovi attraverso un filtro sensibilissimo la decantazione delle esperienze sopravvenute in questi ultimi anni: ivi compresa la necessaria attenzione a una prassi esecutiva che per richiamarsi a origini filologiche non può e non deve diventare arida e speculativa.

Applicare, come fa Muti a trecentosessanta gradi, una autentica «filologia dello spirito» a un monumento di siffatte proporzioni equivale a coglierne tutt’intero il significato musicale nelle sue infinite sfaccettature. In fin dei conti questo Bach supremo è un puro concentrato di emozioni, invenzione e dottrina. Muti lo ha squadernato con delicatezza e con amore, senza mai perdere di vista i valori primari, senza tempo, della partitura. L’intima, raggiante qualità del suono, l’equilibrio arioso delle forme, la leggerezza e la profondità delle immagini, la coesione di un arco polifonico unitariamente teso. La piena consapevolezza delle coordinate stilistiche, anziché rigorosamente esibita, si scioglieva al calore di un fraseggio scattante e disteso, energico e calmo, dal rapporto tra parola e canto estendendosi all’individuazione di un’espressività strumentale misurata ma sempre solare. Sicché passo dopo passo la Messa di Bach si rivelava per quello che è, immensa trasfigurazione dello stile sacro in musica assoluta. Disponendo di strumenti eccelsi come la Filarmonica di Vienna (trentuno archi che suonano come angeli, solisti che si amalgamano tra loro in tutte le gamme), del Coro Arnold Schoenberg di Erwin Ortner e di un quartetto di canto eccezionale (Christiane Oelze, Jennifer Larmore, Gregory Kunde, Alastair Miles), Muti ha avuto un compito facilitato. Era però chiaro che il tono ispirato di questa esecuzione – sintesi perfetta di come si possa oggi affrontare Bach – dipendeva soprattutto dal direttore. C’è riuscito. Estasi e trionfo.

da “”La Voce””

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