Celibidache torna e «crea» la musica

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Sul podio dei Münchner dopo la malora

Monaco –  Il ritorno sul podio dei Münchner Philharmoniker di Sergiu Celibidache dopo un’ennesima interruzione per motivi di salute è una notizia che fa bene alla musica e che lascia ben sperare per la conferma della prossima tournée in Italia con questa orchestra, prevista all’inizio di maggio con diversi concerti a Milano, Firenze e Roma. Sarebbe una vera disdetta se gli appuntamenti dovessero venir ridimensionati: giacché Celibidache è non soltanto uno dei massimi direttori della nostra epoca — il più grande rimasto nella generazione degli ultraottantenni — ma anche un punto di riferimento capace di significare come nessuno un’idea di civiltà interpretativa di altissimo profilo, non solo musicale. Con lui par di rivivere ad ogni istante l’epoca felice degli interpreti ispirati, toccati dalla grazia, o forse semplicemente fedeli a valori profondi, perché nati e cresciuti con essi.

Qualsiasi tentazione d’enfasi sulla personalità di Celibidache — acribia sul repertorio, fedeltà a un’unica orchestra, da tempo peraltro plasmata a sua immagine e somiglianza, rifiuto del consumismo discografico e dell’immane ne del divo — cade nel momento in cui egli si accosta alla musica. Non che Celibidache sia sempre facile da seguire nelle sue ragioni musicali, anzi; ma non v’è scelta esecutiva che non parta da riflessioni tecniche ed estetiche profonde, e che soprattutto non le renda immediatamente percepibili all’ascolto. Esecuzioni come quelle da lui donate della Quarta Sinfonia di Beethoven e del Concerto per orchestra di Bartòk sbagliavano il campo dei possibili desideri non tanto per la speciale originalità di certi stacchi di tempo o per l’ancor più strabiliante varietà delle sfumature dinamiche ottenute dai Münchner, quanto poi il senso di calma grandezza che da esse promanava: una grandezza che si vorrebbe infine definire morale. Dove anche la caratteristica più spesso rimarcata dell’arte di Celibidache, la larghezza dei tempi, si configurava come un modo di ascoltare risonanze e sviluppi della musica in tutta la loro ampiezza, nei rapporti organici di tensione e distensione che ne governano i temi. Se da tutto ciò una massima teorica dobbiamo trarre, è quella di tornare ad ascoltare la musica con devozione nella profondità interiore dello spirito. Celibidache ci insegna a cercare nell’anima della musica ciò che lui ha già trovato, da sempre: la luce di un’esperienza esplosiva.

da “”La Voce””

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