Commiato: opera ultima, ultima opera

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Commiato: opera ultima, ultima opera


Quando la produzione artistica di un compositore non propriamente elementare né “”leggero””, come Luigi Dallapiccola, le cui tematiche sono anzi sotto ogni aspetto così profondamente incise e incisive, si chiude con un lavoro intitolato Commiato, la tentazione di attribuirgli un valore emblematico, e di osservarlo principalmente in questa prospettiva, è inevitabilmente forte. Non dico solo in teoria, ma anche in pratica, giacché non vi è studioso che si sia occupato di questa partitura il quale non abbia ribadito ciò che per semplicità e certo ingenua mimesi della sua struttura palindromica, il mio titolo vuole indicare: ultima opera, opera ultima. Del resto anche Dallapiccola sembra in qualche modo aver avallato questa interpretazione, come risulta da un passo, sempre citato al riguardo, da una lettera scritta il 29 settembre 1972 a Grischa Barfuss, sovrintendente del Teatro dell’Opera di Düsseldorf: “”Non le sto a dire quante volte mi sia domandato se la partitura scritta per Graz, il cui titolo è Commiato (Abschied), non sia stata in realtà un addio alla vita””. E’ singolare che in questa lettera, scritta in francese, si citi quest’opera non soltanto, ovviamente, col titolo italiano, ma anche nella traduzione tedesca, appunto Abschied.

Questa domanda che Dallapiccola sembra farsi, e di cui mette a conoscenza l’amico, è legata a una circostanza biografica precisa e come tale non va enfatizzata. Dallapiccola era stato colpito, esattamente il 22 luglio 1972, da un grave malore. Era stato ricoverato d’urgenza in ospedale, mentre si trovava vicino a Londra, e gli era stato diagnosticato un edema polmonare. Da questa malattia si era tuttavia ripreso, tanto da poter essere presente alla prima esecuzione di Commiato, che avvenne nell’ambito del Festival dell’Autunno Stiriano, nel Festsaal di Murau, il 15 ottobre 1972 (dunque pochi giorni dopo quella lettera). La prima esecuzione italiana avvenne di lì a poco, a Perugia, il 1° novembre 1972, in un concerto monografico degli Amici della Musica interamente dedicato a musiche di Dallapiccola e affidato ai solisti del Maggio Musicale Fiorentino, diretti da Zoltàn Peskó, mentre la cantante, la stessa della prima esecuzione austriaca, era Marjorie Wright.

Facciamo un passo indietro. La composizione che sarebbe poi divenuta Commiato era stata commissionata a Dallapiccola dalla radio austriaca, precisamente dallo studio stiriano di Graz. Dallapiccola vi aveva lavorato nella primavera e nella prima estate del 1972 tra altri progetti fra cui, quello principale, un nuovo balletto concordato con Barfuss (questo è il motivo per cui la corrispondenza in quel periodo rimaneva fitta), da presentare a Düsseldorf. Va aggiunto che, proprio al Maggio Musicale di quell’anno, l’Opera di Düsseldorf aveva portato in tournée Ulisse, cosa che aveva contribuito a creare un legame più stretto fra questo Teatro e Dallapiccola stesso.

Niente autorizza quindi a pensare che Dallapiccola considerasse Commiato un’opera di congedo da qualcosa, e men che mai un addio alla vita, almeno quando questa era stata composta. Dallapiccola l’aveva dedicata alla memoria di un amico di Graz, Harald Kaufmann, scomparso due anni prima. Kaufmann era stato un amico non particolarmente profondo di Dallapiccola; lo aveva però rimesso in contatto con Graz, la città in cui, come sappiamo, Dallapiccola aveva trascorso nell’infanzia un periodo molto importante. L’aveva invitato dopo molti anni a Graz a suonare con Sandro Materassi e poi a fare delle conferenze. Di lì era nato un interesse, un affetto reciproco, che poi si era ulteriormente consolidato quando Kaufmann scrisse un articolo che resta a tutt’oggi, a mio parere, abbastanza importante – sul Prigioniero. Il legame con Graz si rinsalda dunque anche in questa dedica. E possibile, come del resto molti commentatori hanno osservato, che sia quindi nel testo che sta alla base di questo lavoro – il frammento di una Lauda del XIII secolo attribuita a Brunetto Latini – un duplice riferimento: quello al fratello in affetto Harald Kaufmann e quello anche a un commiato, o a un ritorno a Graz, una città che era stata legata nella sua infanzia a episodi importanti. E se quindi questo quadro non autorizza a dire che per Dallapiccola Commiato significasse un congedo da qualcosa, un addio alla vita (se non per questi riferimenti che certamente appartenevano ai suoi affetti), pur tuttavia tale lavoro ha un significato particolarissimo se lo mettiamo in relazione non solo con se stesso, ma con la grande opera che lo precede, Ulisse, nel cui cono d’ombra, per così dire, si colloca.

Per vedere in che senso sussiste questo rapporto dobbiamo osservare prima brevemente la forma della composizione: questa è stata spiegata in modo molto preciso da Dietrich Kämper, prima ancora che nella sua biografia, in un articolo in commemorazione di Dallapiccola uscito nell’estate del 1975. Commiato si compone di cinque parti, costruite in una forma abbastanza tipica di Dallapiccola. Kämper fa riferimento a molte composizioni precedenti, ritrovando in esse un procedimento per molti versi simile, ma mai realizzato con non soltanto la coerenza, ma anche il radicalismo di questa composizione. In modo particolare la prima parte è mancante di un testo, il soprano intona un vocalizzo su un’unica sillaba “”Ah””. La quinta parte non è altro che il retrogrado in forma rigorosa del primo, mentre le due parti intermedie, la seconda e la quarta, sono affidate unicamente agli strumenti e hanno fra di loro un rapporto legato alla tecnica del canone. In questo caso la forma del retrogrado, che ne sta alla base, non è realizzata in modo rigoroso, come avviene nel rapporto fra primo e quinto, bensì, come dice appunto Kämper con felice espressione, “”con alcune licenze””. (Vedremo poi in che modo esse vadano interpretate). Al centro sta invece la Lauda vera e propria, cioè il testo attribuito a Brunetto Latini, che viene intonato dal soprano con accompagnamento strumentale in una forma che non è direttamente richiesta dal testo, ma che a sua volta conferma la struttura concentrica, ad arco, della composizione: i primi due versi vengono ripresi alla fine in una sorta di ritornello. Quindi una struttura in forma di palindromo, segnata da corrispondenze e simmetrie precise. Le corrispondenze qui sono rese ancora più accentuate dal fatto che la Lauda sta al centro di parti che fra di loro si presentano in una forma canonica per moto retrogrado, severa, assolutamente rigorosa, salvo le tre battute finali, tra il n. 1 e il n. 5, con alcune modificazioni tra il n. 2 e il n. 4. La presenza della Lauda al centro viene ulteriormente segnalata dal fatto che, mentre le due parti che la precedono e la seguono sono eseguite senza interruzioni, Dallapiccola prescrive, prima e dopo questa parte centrale, una pausa abbastanza lunga. Questa, in breve, è la forma di Commiato dal punto di vista della sua struttura.

A mio parere, Commiato può essere intesa soltanto se messa in relazione con Ulisse, al pari, ma in forma ancora più accentuata, di quanto avviene nelle composizioni che la precedono, e che seguono invece Ulisse: Sicut umbra… e il dittico corale Tempus destruendi Tempus aedificandi costituiscono una sorta di parerghi e paralipomeni a Ulisse.

Il grido, il vocalizzo all’inizio di Commiato si collega con un punto molto critico e molto importante di Ulisse: al momento in cui l’orchestra all’unisono fortissimo, con tre f e alcuni sforzando in alcune voci, intona un’unica nota. Ciò avviene prima che, come per improvvisa illuminazione, Ulisse abbia appunto la rivelazione di Dio e pronunci la parola “”Signore””. Il monologo finale di Ulisse è particolarmente concitato e ricco anche di momenti drammatici, ma questi vengono tutti convogliati verso un crescendo a tutta l’orchestra che culmina in un solo suono, un po’ come avviene nel Wozzeck nell’invenzione su una sola nota. In Ulisse questo suono è un Sol diesis. Credo che Dallapiccola, assai più che non per questioni di reticoli seriali, i quali naturalmente avevano un’importanza fondamentale nella preparazione di una composizione, avesse un culto quasi ossessivo non soltanto per il suono, ma proprio per le altezze dei suoni, per i valori dei suoni. Chiunque abbia avuto modo di conoscerlo sa che l’aspetto del riconoscimento del suono aveva un’importanza pari a quel lavoro di preparazione strutturale che si compendiava poi nella complessità del metodo seriale. Che l’inizio di Commiato si ricolleghi a questo suono mi pare un fatto non casuale, necessario anzi per comprendere quello che nella composizione avviene dopo. Vorrei osservare inoltre che nell’Ulisse, come del resto è ampiamente noto, la parola “”Signore”” non viene intonata, ma viene parlata; dopodiché c’è un episodio di quattro battute, che Dallapiccola indica nella didascalia “”come una parentesi””, e poi viene l’ultima frase, con cui si conclude l’opera: “”Non più soli sono il mio cuore e il mare””.

Elementi del Finale di Ulisse compaiono in Commiato subito all’inizio. In modo particolare la figurazione ritmica della quintina che costituisce il ritmo conduttore e che ha nell’opera un valore molto insistito. E una cosa che non soltanto contraddistingue l’ultima parola, “”mare””, di Ulisse, ma viene poi anche ripresa in orchestra, nelle battute finali. Questo ritmo, in una forma mutuata direttamente dall’Ulisse, compare proprio all’inizio di Commiato, nella forma di una diminuzione ritmica di quintine, terzine, duine, fino al suono tenuto su cui il vocalizzo prende un suo sviluppo. Ora questa diminuzione, che ha una forza ritmica senz’altro molto marcata, viene qui realizzata da Dallapiccola secondo un principio che porta, proprio al centro del primo brano di Commiato, a una serie di sforzati che annullano completamente il senso del ritmo e che consentiranno poi, quando lo stesso percorso verrà ripreso alla fine in forma retrograda, di ricostituire una intensificazione ritmica che sfocerà infine nel grido su “”Ah””. A quel punto si avrà dunque il risultato non di una diminuzione ritmica, ma di una intensificazione e anche di una aumentazione ritmica. Ciò porta a far sì che, non soltanto per la forma in cui sono costruiti, il momento iniziale e il momento finale di Commiato siano in realtà lo stesso punto: più che di una forma ad arco è lecito forse parlare di una forma assolutamente circolare, nella quale punto iniziale e punto finale – proprio attraverso la correlazione di un percorso di diminuzione e di aumentazione in perfetta simmetria – creano una distensione basata sul principio della tensione. Di conseguenza il pezzo iniziale e il pezzo finale possono essere considerati quasi come un ritorno circolare a uno stesso punto.

Il brano che segue, il secondo, si apre con una cadenza del flauto: un fatto abbastanza raro in questa forma, almeno nel tardo stile di Dallapiccola. Una cadenza che sembra quasi riprendere il vocalizzo della prima parte e distenderlo in una versione meno aspra, meno tagliente, meno gridata appunto. Credo che in questa scelta di dare al secondo movimento, e in particolare all’idea di cadenza abbastanza estesa, una connotazione timbrica ben precisa, cioè quella del flauto, possa essere visto un rimando a Mahler. E forse, più ancora che all’Abschied di Das Lied von der Erde, al Finale della Nona Sinfonia, nella quale proprio la cadenza del flauto istituisce non soltanto una diminuzione della tensione fino a quel momento accumulata, ma l’avvio verso la conclusione della sinfonia.

Parallelamente dunque a una struttura costruita sulla base di canoni che si specchiano o che, meglio, si presentano in forma retrograda, Dallapiccola usa, per ciò che concerne il trattamento della dimensione agogica, un procedimento di decelerazione a cui poi corrisponde un procedimento di accelerazione: ciò proprio quando, dopo la Lauda, si riprenderà in forma retrograda il percorso delle prime due parti. Nel quarto brano questa cadenza viene assottigliata, finendo quasi per essere un’eco della cadenza precedente, in sintonia con quell’ulteriore assottigliamento del peso che contraddistingue appunto il passaggio verso il ritorno al grido iniziale. Passaggio che ha una sua motivazione nel brano che sta al centro, cioè nella Lauda vera e propria, la cui configurazione melodica, oltre che ritmica, assume un valore molto importante.

Non soltanto, quindi, citazioni e autoriferimenti a opere precedenti, già notate da Kämper e da altri studiosi, a livello della costruzione della serie: qui Dallapiccola cristallizza tali riferimenti anche in frammenti melodici o in accentuazioni melodiche che, per la particolare strumentazione che fa emergere in modo assai evidente la voce, hanno una sottolineatura superiore a quella di altre composizioni di Dallapiccola. Alcuni riferimenti sono, a mio parere, da evidenziare. Il primo è quello che la parola “”fratello”” (“”O fratel nostro””), all’inizio, è intonata sullo stesso intervallo usato per la stessa parola nel Prigioniero. Una riminiscenza, quindi, anche di una parola legata a un intervallo: tutti sappiamo quanta importanza quel suono e quella figura avessero in quell’opera. Tutto il canto della Lauda, del resto, è impregnato delle figure, delle cellule melodiche che contraddistinguono, nel Finale dell’Ulisse, certi punti particolarmente risolutivi del canto di Ulisse stesso. Canto che nel Finale alterna, con grande frequenza, melodia e parlato. Ma certamente il momento culminante, che precede l’illuminazione e che si presenta da un punto di vista anche melodico con una accentuazione speciale, è nella ripresa del motto: “”Guardare, meravigliarsi e tornare a guardare””. La Lauda non soltanto dal punto di vista degli intervalli, ma anche dal punto di vista dei rapporti e dei valori ritmici (in modo particolare con l’utilizzazione della terzina) – riprende proprio questo materiale dell’Ulisse e lo sviluppa soprattutto nel prosieguo, attraverso la evidenziazione di alcuni intervalli che non fanno parte della gamma intervallare offerta dalla serie principale o dalle serie derivate di Commiato. La serie fondamentale di Commiato, in particolare, è basata sull’intervallo di tritono, di seconda maggiore e di seconda minore. Nei due movimenti strumentali essi si presentano come gli unici intervalli che costituiscono la serie, in modo che la seconda metà della serie non sia altro, a sua volta, che il retrogrado della prima metà: presenti cioè gli stessi intervalli ancora una volta in una forma di palindromo (nella costituzione della serie si presenta in nuce ciò che poi verrà sviluppato a livello formale). Nella Lauda, invece, e soprattutto nel “”ritornello””, emergono tre intervalli che non sono compresi nella serie, o che della serie sono soltanto il risultato di combinazioni di derivazioni: la quinta giusta, la quarta giusta e la sesta minore. Intervalli utilizzati addirittura all’inizio, sulla parola “”sepolto””, intonati con uno slancio melodico, abbastanza raro in Dallapiccola, ma che qui ha una sottolineatura particolare. E’ notevole il fatto che, nonostante la diversità della tessitura tra soprano e baritono, il canto della Lauda non solo utilizzi certi intervalli, ma addirittura si attesti su certe note che apparivano anche nell’Ulisse. In modo particolare “”nelle sue braccia””, ossia l’inizio del secondo verso della Lauda è esattamente la forma a specchio della figura melodica che contraddistingue il “”non più soli”” delle ultime parole di Ulisse (“”non più soli sono il mio cuore e il mare””). Ritengo insomma che nel dare una configurazione melodica, radicata naturalmente in un tessuto seriale assolutamente precisato, al canto della Lauda, Dallapiccola si sia ricollegato in modo diretto al Finale di Ulisse: ciò anche attraverso la evidenziazione di un suono di partenza e di arrivo, Sol diesis; nel collegare gli intervalli, i rapporti fra il suono e l’interno della melodia, ma anche le loro altezze relative; nel ritmo e nella presenza ossessiva, all’inizio e alla fine, del ritmo in quintina, che è, come sappiamo, un ritmo base, il ritmo conduttore dell’intera opera. Credo quindi che l’interpretazione che si può dare di Commiato è non soltanto quella di un’opera legata all’Ulisse, ma anche di un’opera che cerca di ricollegarsi e di dare una risposta ancora più precisa a quel momento, nell’opera decisivo, in cui tutte le cose cambiano, in cui un personaggio, ritratto sino ad allora in una condizione di ricerca, si trova invece alle soglie di una rivelazione. Rivelazione che avviene appunto con la scoperta del nome. Tutti sappiamo che questa scoperta del nome non ha, dal punto di vista musicale, dal punto di vista degli avvenimenti, delle vicende musicali, né una spiegazione, né una manifestazione, una espressione. È soltanto una parola, oltretutto non cantata, non intonata, che porta all’ultima affermazione: “”non più soli sono il mio cuore e il mare”” (nella quale peraltro ricorre la stessa figura che all’inizio Calipso aveva usato per commentare invece la solitudine di Ulisse).

Commiato è a mio parere da intendersi come congedo da Ulisse, nella duplice forma di un ricollegarsi al momento nel quale avviene la rivelazione, o che precede la rivelazione, e poi al momento che a esso segue. Commiato colma il vuoto che in Ulisse è affidato unicamente a un’affermazione, a un riconoscimento, ma che non ha un rispecchiamento musicale che lo motivi e che lo simboleggi. E abbastanza curioso che, in questo momento di estrema tensione, Dallapiccola affermi che il ritmo finale dell’opera è affidato alle pause e che quindi, in fondo, il momento del riconoscimento, della rivelazione, coincide con il silenzio, con l’assenza di una presenza della musica. E fra i due estremi del grido, ai margini della preghiera che sta al centro di Commiato, sembra colmarsi quel passaggio che nelle ultime battute dell’opera è sospeso e che viene commentato, che viene ulteriormente specificato nell’epigrafe che all’opera segue: la citazione, più volte ricordata, da S. Agostino, ove si afferma che soltanto nel riposo, quindi nella morte, è possibile trovare la pace. Quindi Ulisse in realtà non trova la pace, come sappiamo e come Dallapiccola stesso ha chiarito, e la sua ricerca continuerà. Questa ricerca trova una successiva postilla e chiarificazione proprio in Commiato, i cui due estremi sono fissati nel grido, nel grido che evidentemente ha a che fare con la morte e che quindi può essere messo in relazione con la morte e la preghiera, la preghiera che segue la morte e che non è altro che un commento, non è altro che una preghiera che avviene post mortem quando la morte ha già compiuto il cammino del fratello. E credo che il rapporto strettamente musicale che esiste con la struttura di Commiato – soprattutto dal punto di vista dell’uso che Dallapiccola fa della serie come elemento melodico caratterizzante, e anche della forma, che finisce per essere non soltanto circolare ma anche concentrica – chiarifichi e riporti a quel punto che nell’opera coincide appunto con un’unica nota, quel Sol diesis su cui l’orchestra si concentra prima della rivelazione d’Ulisse.

Dallapiccola. Letture e prospettive, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Empoli – Firenze, 16-19 febbraio 1995) promosso e organizzato dal Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni di Empoli a cura di Mila De Santis.

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