Il mondo sonoro di Celibidache

I

Ricordo una lontana intervista a Sergiu Celibidache. Alla domanda di rito perché non incidesse dischi, rispose con un’immagine eloquente. Il disco è come una fotografia che fissa un istante della vita. Finché uno vive, non gli verrebbe in mente di sostituire il contatto diretto con le persone e con la musica affidandosi al surrogato della fotografia e del disco. La fotografia è il ricordo. La vita è il momento irripetibile dell’esserci e comunicare, dell’emozione che in musica si sprigiona durante l’atto vitale del concerto. Come tale, il disco è un’immagine dell’assenza e della morte. Questa immagine viene ripresa da Serge Ioan Celebidachi, figlio di “Celi”, per presentare il “lascito musicale” delle registrazioni effettuate da suo padre nel corso dell’attività con i Münchner Philharmoniker durata dal 1979 al 1996, l’anno della sua morte, rigorosamente dal vivo. Tra le 200 opere gelosamente conservate in archivio – la cui chiave Celibidache si faceva consegnare personalmente dopo ogni deposizione della reliquia – la Emi Classics, promotrice della fenomenale iniziativa, mette a disposizione del pubblico il primo box di 10 cd, facendolo precedere da un doppio cd contenente, oltre a una preziosa intervista di Günther Specovius col Maestro, due documenti altamente simbolici dell’arte interpretativa di Celibidache: l’Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij e i Quadri di una esposizione di Musorgskij-Ravel. Si tratta di due registrazioni rispettivamente del gennaio 1992 e del settembre 1993, appartenenti dunque all’ultima fase della sua carriera.

Chi abbia ascoltato dal vivo queste interpretazioni, serbandone il ricordo come una parte incancellabile di sé, si accosterà al confronto con comprensibile trepidazione. Fin dalle prime battute della Ouverture di Čajkovskij, non tarderà a riconoscere il suono inimitabile di Celibidache, la sua capacità somma di dare un significato e una relazione a ogni nota, a ogni dinamica, a ogni colore, quasi sacralizzandoli. Ma anche per chi non ne abbia fatta esperienza diretta è come se si spalancasse di colpo un mondo sonoro affascinante nella sua grandezza e misterioso nella sua profondità, in cui naufragare e riemergere è insieme dolce e doloroso. La tensione protratta all’inverosimile nella calibrata dilatazione dei tempi e nella intensa pronuncia del fraseggio si scioglie in un calmo, naturale espandersi di vibrazioni e di respiro: essi non sono più solo musica ma eco di una trasfigurazione, epifania mistica e razionale dello spirito. Ancor più nei Quadri di una esposizione, con la massima evidenza frutto del periodo di assoluta confidenza con l’orchestra, la sbalorditiva precisione analitica è rivolta a cogliere non soltanto la varietà del racconto – perfino con cordialità e ironia – ma anche il senso più profondo della composizione originale e della sua orchestrazione: fuse nella perfezione di proporzioni e misure prima indicate e poi realizzate. Tutto si può dire di Celibidache; ma non che non sapesse mettere l’ascoltatore a parte delle sue intenzioni e guidarlo verso un’ascesa.

Con giusto rilievo viene sottolineato che questa è la prima edizione autorizzata delle registrazioni di Celibidache (meritorio lo scopo: sostenere una fondazione a lui intitolata per aiutare non solo i giovani musicisti ma impegnarsi anche in iniziative umanitarie). Per molti anni le sue registrazioni sono circolate in edizioni “pirata” e di fortuna, tecnicamente assai scadenti: e fra queste molte provenivano dal periodo, mai abbastanza rimpianto, in cui Celibidache diresse le orchestre della Rai.

Prima di chiudere definitivamente i battenti, la Fonit Cetra si congeda realizzando una piccola edizione dedicata a Celibidache nella quale sono riproposti, finalmente nella veste tecnica originale ripulita e tutt’altro che disprezzabile, alcuni degli esiti migliori di questa collaborazione: le quattro Sinfonie di Brahms (Milano, 1959), la Quinta e l’Incompiuta di Schubert (Torino, 1970) e le prime due Sinfonie di Schumann (Roma, 1969). Anche se il paragone con l’epoca monacense è improponibile, si tratta di esecuzioni rimarchevoli, degnissime per i nostri colori, esemplari in tutto e per tutto della poetica e della concezione musicale di Celibidache. La vetta ci pare essere la Seconda di Schumann, limpida e cantante in una sorta di gioiosa ebbrezza sonora. Ma ascoltate con attenzione, nel primo box, le Variazioni su un tema di Haydn di Brahms con l’Orchestra “Alessandro Scarlatti” di Napoli, anno 1971, e chiedetevi pure per quale maledizione il nostro disgraziato Paese abbia sperperato cogli anni tesori di tale dignità e bellezza.

 

Celibidache-Münchner Philharmoniker: ˇCajkovskij, Musorgskij-Ravel. Emi 5565162
(2 cd). Sergiu Celibidache alla Rai, vol. 1 (Brahms), vol. 2 (Schubert, Schumann):
Fonit Cetra vol. 1 CDO 12 (3 cd), vol. 2 CDO 124 (2 cd).

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