Ingmar Bergman e la musica

I

Nell’opera cinematografica di Ingmar Bergman, la presenza della musica è davvero speciale. Nella sua autobiografia, Bergman racconta di quando fu invitato da  Herbert von Karajan a un colloquio per la realizzazione di un progetto comune. La prima cosa che Karajan gli disse, non appena lo vide, fu: Ho visto i suoi film e anche alcune cose a teatro: Lei dirige i suoi spettacoli come un direttore d’orchestra. Per questo vorrei lavorare con lei.””

L’idea di Karajan era quanto meno folle: fare assieme niente meno che la Turandot di Puccini, quanto di più lontano possa esistere dall’estetica, ma anche dall’etica di Ber. L’episodio testimonia tuttavia la grande genialità di Karajan. In effetti l’importanza della musica, anche dal punto di vista formale, strutturale, nei film di Bergman è fondamentale.

Molti dei suoi film si richiamano a forme musicali: Persona è una  “”sonata a due””; un film reca addirittura un titolo musicale: Sonata d’autunno, che la distribuzione italiana, dimostrando assoluta ignoranza musicale, ha rinominato, non si sa perché Sinfonia d’autunno ( Sonata e sinfonia, come si sa, sono due forme compositive  molto diverse). Anche i suoi primi film, le sue commedie, sono tutti improntati ad uno spirito musicale: L’occhio del diavolo è un “” rondò capriccioso”” A proposito di tutte queste …signore è una specie di Pochade sulla vita di un violoncellista: Sussurri e grida è un “”quartetto””.
Non si tratta quindi soltanto di una presenza della musica come colonna sonora. Bergman, anzi, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, dopo il Settimo Sigillo e Il posto delle Fragole, abbandona nei suoi film la colonna sonora tradizionale, che fino a quel m omento gli era sempre stata fornita dal grande compositore, sinfonista svedese Nordkren,  e comincia a rifarsi ad una visione della musica più scelta, più personale. Ed entrano allora nella sua opera degli autori che hanno lo scopo di essere qualcosa di espressivo ma anche di stabilire un legame, un contatto, una forma di complicità.
Anche nell’ultimo film di Bergman, prodotto dalla televisione svedese( In the presence of a clown, 1997; titolo italiano: Verità e affanni, NDR), la musica entra in azione subito. Nella scena iniziale vediamo un personaggio, che si rivelerà essere il personaggio principale, ascoltare ossessivamente, su un vecchio grammofono, l’ultimo Lied della Winterreise( Viaggio di inverno) di Franz  Schubert. Egli ascolta ripetutamente le prime battute, l’introduzione pianistica che precede il canto di questo Lied, Der Leiermann( il suonatore d’organetto), il più tragico, il più disperato, che nel corso del film assume un significato simbolico. Nella parte centrale del film Bergman dà un’interpretazione molto personale delle ultime ore di Schubert, un compositore che negli ultimi tempi sta realmente ossessionando Bergman, così come in passato Mozart e Bach prima di lui, gli hanno dato molta gioia.

Il Flauto Magico è sicuramente il più grande successo di Bergman in relazione ad un’opera musicale. Bergman impose come condizione alla produzione televisiva di poterlo girare al teatrino di Drottingholm. Durante le riprese si verificarono degli inconvenienti tecnici in seguito ai quali Bergman si trovò costretto a ricreare il teatrino in uno studio. Nella scena del film in cui Papagena scappa da Monostatos, un lungo mura segna simbolicamente il passaggio dal teatro al cinema, un passaggio che però continua a coinvolgere ed assorbire il teatro.
Qualcosa di analogo succede, anche se in  direzione inversa, anche nell’ultimo film del regista. Per eventi che non voglio anticipare allo spettatore del film, ad un certo punto, lo spettacolo cinematografico si trasforma in spettacolo teatrale. I due elementi in modo più che mai evidente si combinano. Teatro e cinema sono quasi due facce di una stessa medaglia.
Ci poremmo chiedere come mai Bergman,nel corso di una carriera teatrale così intensa, molto più intensa di quella cinematografica e tuttora attiva,- l’ultiimo suo spettacolo al Teatro di Stoccolmaè del maggio scorso- abbia realizzato così poche regie liriche, per la precisione soltanto due: Die lutwige Witve ( La vedova allegra) di Franz Lehar a Malmo nel 1954, nello steso pevariodo in cui stava realizzando le riprese di Una lezione d’amore, una commedia che non a caso presenta molti punti di contatto con l’operetta di Lehar; e The Rake’s progress ( La carriera di un libertino) di Igor Stravinskij all’opera di Stoccolma nel 1961, mentre, operando ancora contemporaneamente su due fronti, stava girando Come in uno specchio.a sua volta anch’esso fortemente segnato da collegamenti all’opera di Stravinskij. Poi ci fu Il flauto magico, messo in onda simbolicamente dalla televisione svedese il primo gennaio 1075 con enorme successo.

Poi ci furono altri progetti. Di uno di questi sono stato testimone diretto allorché mi trovavo, nelle vesti di un giovane apprendista, al Residenz Theater di Monaco di Baviera, dove Bergman, in esilio dopo aver abbandonato la Svezia per le note vicende di tasse, lavorava regolarmente mettendo in scena due spettacoli all’anno. In quel periodo, durante il quale girerà anche L’uovo del serpente negli studi della Bavaria Film, Bergman ricevette l’invito di mettere in scena Les Contes d’Hoffmann  ( I racconti di Hoffmann) di Jacques Offenbach, un’opera molto vicina alle sue corde.
Aveva rifiutato in modo drastico una precedente proposta per il Don Giovanni di Moliere.

I racconti di Hoffmann si mise invece a lavorare molto seriamente. Il problema è che ebbe un’idea che poi si rivelò irrealizzabile, almeno per le convenzioni dell’Opera di Monaco, ossia un luogo dove ogni sera bisogna andare in scena con un o spettacolo, regola a cui anche un grande genio come Bergman è costretto a sottostare. L’idea di Bergman era quella di creare un impianto fisso in cui l’orchestra è posta sul palcoscenico e con un gioco di specchi l’azione  si svolge contemperando sulla scena gli attori, i cantanti, le scenografie e l’orchestra.. Un progetto che esiste ancora, in cui Bergman dice di rifarsi a una vecchia idea di Max Reinhardt, e di aver voluto sviluppare qualcosa che non era nuova ma dava quest’idea della musica come fatto centrale dell’azione.

Ecco, è proprio quest’idea della musica come fatto centrale dell’azione che dobbiamo sempre cercare di ritrovare nei suoi film. Musica intesa non solo come espressione, ma come mondo di sogni, di associazioni e possibilità di forme drammatiche.

Articoli