Johannes Brahms – op. 86 n. 2; op. 96 n. 2; op. 85 n. 6; op 43 n. 1 e n. 2; op. 19 n. 5; op. 94 n. 4

J

Johannes Brahms

 

Feldeinsamkeit(Solitudine dei campi) op. 86 n. 2

Wir wandelten (Camminavamo) op. 96 n. 2

In Waldeinsamkeit (Nella solitudine del bosco) op. 85 n. 6

Von ewiger Liebe (Dell’eterno amore) op 43 n. 1

Die Mainacht (Notte di maggio) op. 43 n. 2

An eine Äolsharfe (Un’arpa eolica) op. 19 n. 5

Sapphische Ode (Ode Saffica) op. 94 n. 4


Pietre miliari del Lied romantico

Johannes Brahms (1833-1897) ha creato musica grande e duratura in ogni genere, tranne quello dell’opera teatrale. Aveva appreso dai propri maestri un’impeccabile tecnica compositiva e possedeva un dominio sicuro della forma, un senso innato della “”qualità”” artistica e una serietà che erano il risultato di una tenace autodisciplina e di una costante consapevolezza critica. Per quanto Brahms ci appaia oggi soprattutto un tipico esponente della musica strumentale, da camera e sinfonica, l’autentica chiave per la comprensione della sua produzione rimane la musica vocale che costituisce, sotto molti aspetti, il punto di partenza del suo operare artistico. Ciò che la natura aveva dato a lui, come al suo predecessore Schubert, era un senso per le forme vocali che sgorgava spontaneamente dalla poesia. Con alcune ovvie differenze di prospettiva. La creatività brahmsiana appartiene pienamente a una fase riflessa e tarda della cultura romantica, ovvero a quella fase in cui diviene cosciente per il musicista la compresenza di una enorme messe di possibilità, penetrate organicamente nella cultura tedesca ottocentesca da molti precedenti, sia medievali (i Minnesänger), sia cinquecenteschi (il Lied corale luterano), sia secenteschi (l’effusione lirico-religiosa di Heinrich Schütz), sia bachiani ed händeliani, sia soprattutto popolari: di quel Volkslied che era diventato un mezzo di riconoscimento e di identità per una intera nazione. Tutti questi aspetti si confrontavano in lui con un passato sentito così recente da apparire un presente ancora perfettamente vitale: quello di Mozart, di Beethoven e di Schubert, nonché di quello Schumann che, amato e ammirato, aveva elevato a modello del proprio credo artistico.

All’epoca delle prime raccolte di Lieder, questa complessa cultura di una Romantik matura e già quasi crepuscolare era già, agli occhi di Brahms, sostanzialmente edificata e fissata organicamente – seppure dialetticamente -, cosicché le esperienze successive (che pure ci furono, e numerose, legate a una ben risaputa curiosità verso il passato e il presente) seppero benissimo dove collocarsi, e in che.rapporto porsi con le altre già compiutamente assimilate. Come compositore di Lieder, Brahms occupa indubbiamente una posizione di primo piano. Il Lied gli è stato compagno fedele per tutta la vita, finalizzato a rilassare la tensione accumulata durante la creazione di grandi opere. Nei Lieder, Brahms si rivela incondizionatamente musicista sensibile e innovativo, pervaso da un lirismo puro e decantato: più di Schumann, che nei suoi Lieder introdusse il declamato, affidando all’accompagnamento pianistico il nucleo dell’invenzione vera e propria. In Brahms, invece, la composizione sembra concentrarsi nell’invenzione stessa del motivo melodico e l’elemento costruttivo, quasi sempre assai elaborato, è funzionale alla resa espressiva del canto. Molti Lieder, fra gli oltre 200 da lui scritti, sono entrati, subito dopo la loro apparizione, nel repertorio concertistico; e non poche pagine meritano l’appellativo di capolavoro.

La scelta proposta in questo concerto riguarda appunto pezzi che stanno molto in alto nel catalogo di Brahms. Essi sono accomunati da un sentimento poetico – sentimento tipicamente brahmsiano – che li rende omogenei: pagine contrassegnate da riflessioni amare, piene di sospiri e di tormenti, impregnate da quella sottile malinconia che ben conosciamo in questo autore. Ha scritto Massimo Mila: “”Brahms – e con lui l’uomo moderno, l’uomo dell’età che chiamiamo umbertina, o vittoriana, o Biedermeier – conosceva il piacere dolceamaro della rinuncia, dell’ideale accarezzato e vagheggiato consapevolmente come un sogno, come evasione momentanea allo squallore della realtà. […] Questa melanconica attitudine di rinuncia, permeata da un alto idealismo e concentrata nella profondità della riflessione, è la Stimmung fondamentale dell’arte di Brahms, è il suo tono più personale e genuino, anche se non esclude, naturalmente, la possibilità di altre espressioni””. Ecco dunque Feldeinsamkeit op. 86 n. 2 (1878, su testo di Hermann Allmers, poeta minore tedesco), dove il motivo della “”solitudine campestre”” (sguardo rivolto al cielo, canto di cicale, un azzurro meraviglioso: con la sensazione di camminare negli spazi eterni) si connota di suggestioni musicali emblematiche della solitudine, all’altezza del romanticismo tedesco più puro. Wir wandelten op. 96 n. 2 (1884, Georg Friedrich Daumer) è un incantevole pellegrinaggio attraverso un labirinto di tonalità oscillanti e di incertezze ritmiche, in un mondo d’amore, con qualche rassicurazione popolare. Waldeinsamkeit op. 85 n. 6 (1882) offre uno scenario di boschi nella notte ammantato dalla “”solitudine silvestre”” (il tramonto del sole accompagnato dal canto melanconico, lontano e sfocato, dell’usignolo): un bellissimo, disteso lento su una poesia di Carl Lemke che illustra un trepidante incontro d’amore. Von ewiger Liebe e Die Mainacht aprono la raccolta dell’op. 43 (di datazione incerta, tra il 1858 e il 1868, rispettivamente su testi di Joseph Wenzig e Ludwig Hölty). Il primo, Amore eterno, è una meravigliosa ballata popolare riscattata, nella trasposizione brahmsiana, da un registro colto e raffinato. Il brano si snoda in tre episodi: nel primo viene descritto l’ambiente in cui avrà luogo il dialogo fra i due amanti; nel secondo episodio – più rifinito e prezioso – un fanciullo parla alla sua amata (l’incertezza amorosa è qui sottolineata dal ritmo ternario e binario incrociati); nel terzo, un lento in 6/8, la fanciulla risponde emozionata su un accompagnamento pianistico quasi “”sinfonico””. Segue Notte di maggio: questo “”canto di solitudine”” suddiviso in tre parti (AB-A) deve essere cantato – così indica la partitura – “”molto lentamente e con molto sentimento””. Da notare la fissità “”stellare”” del primo episodio, le vibrazioni della parte centrale armonicamente inquieta, la solenne ripresa variata del tema d’apertura. An eine Äolsharfe, ultimo dell’op. 19 (1858-59, testo di Eduard Mörike), ci riporta all’epoca dell’amore del giovane Brahms per la cantante Agathe von Siebold, fanciulla che, oltre a esserne a quel tempo la musa ispiratrice, interpretava i suoi Lieder con una voce incantevole. Questo, intitolato A un’arpa eolia (un’arpa misteriosa che strazia il cuore con la sua armonia melanconica), è un brano dalla scrittura ricca, agile e libera, articolato in due episodi melodici e un recitativo drammatico (caso piuttosto infrequente nei Lieder di Brahms), particolarmente audace nelle sue ardite modulazioni. Chiude la serie Sapphische Ode op. 94 n. 4 (1884, testo di Hans Schmidt), spunto per una delle più riuscite e interpretate invenzioni brahmsiane: nobilissima la linea del canto, sostenuta dagli accordi sincopati del pianoforte. Come ha scritto il Bruyr: “”Se dovessimo scegliere un solo Lied di questa raccolta, ebbene, la scelta cadrebbe sulla celebre Ode saffica: questo per via di una speciale, tenace attenzione che ci tiene legati a quelle dodici battute: una melodia dall’essenza di rosa, il cui peso è quello di un petalo…””.

Myung-Whun Chung, Roberto Gabbiani /Waltraud Meier,Nicholas Carthy, Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione di musica da camera 2003-2004

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