L’intelligente

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«Concreto, empirico, estudioso, analitico y detallista»: così un critico musicale spagnolo definì una volta Maurizio Pollini. D’accordo. Ma la qualità che più mi sentirei di associare a Pollini è l’intelligenza: quella di chi capisce e fa capire. Anche se questo termine esplicitamente non compare mai nel bel volume di studi in onore del grande pianista (Maurizio Pollini. Ritratto di un artista) opportunamente realizzato da Francesco Micheli con la sua Fondazione e l’editore Skira in occasione dei concerti del “Progetto Pollini” ospitati a Roma dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sullo sfondo è sempre presente. Pollini suscita ammirazione, ma al tempo stesso invita chi parla di lui a usare la discrezione: un discernimento, si direbbe, da lui stesso tenacemente ispirato. Il curatore Enzo Restagno, in quella sorta di intervista impossibile, immaginaria, che introduce il volume, parla giustamente di “concordismo” per definire la solidarietà che circonda Pollini, non soltanto i suoi amici, ma anche gli ipotetici detrattori: che non sappiamo chi siano o possano essere, ma che comunque immaginiamo anch’essi concordi nel riconoscere all’uomo e all’artista le doti della coerenza e della inattaccabilità. Poi di tutto si può discutere. Fa piacere scoprire in una persona che personalmente non conosciamo (Francesco Micheli, al cui padre Umberto è intitolato un concorso pianistico internazionale molto importante, anche perché patrocinato da Pollini stesso) civiltà e cultura, acume e misura nel delineare un ritratto affettuoso e pregnante dell’amico, spaziante a tutto tondo: dal Pollini «formidabile edificio di cultura» al Pollini interprete «grande e disciplinato», dal Pollini difensore della musica contemporanea, che «cerca di far crescere il pubblico spiegandogli un repertorio sempre più nuovo e imponendoglielo», al Pollini semplicemente com’è, schivo, modesto, timido, tremendamente serio. «Pollini nonostante sia persona spiritosa, nonostante gli piaccia giocare, scherzare, divertirsi, non vi suonerà mai ‘un pezzo’ per stare allegri»: non si potrebbe spiegar meglio. Ma anche a costo di ripetermi, aggiungerò che dai concerti di Pollini si esce sempre con una strana sensazione: quella di essere non soltanto più ricchi musicalmente e spiritualmente, ma anche migliori di quanto siamo. Di quanti altri interpreti si potrebbe dire altrettanto?

Alle introduzioni segue, nella prima parte del libro, un dialogo-testimonianza in cui le voci dei compositori più cari a Pollini (compositori d’oggi, s’intende) si rivolgono direttamente al musicista amico per fargli tanti bei complimenti, ma anche per cercare di fissare le ragioni di tanto rispetto e considerazione. E siccome costoro rispondono ai nomi di Berio, Boulez, Manzoni, Sciarrino e Stockhausen, non ne esce mai nulla di banale o di ossequioso. Ecco un’altra qualità di Pollini: spingere ognuno a dare il meglio di sé, anche in un semplice scritto encomiastico. Sicché alla fine il lato ufficiale della faccenda si riassume tutto nella elementare affermazione di Boulez («se fossi stato un pianista è così che avrei voluto esserlo»), mentre il resto sono osservazioni, riflessioni, ricordi, inviti che coinvolgono direttamente, auspice Pollini, il ragionamento della e sulla musica. Ai più alti livelli. E si prova quasi un brivido nel pensare che il saggio di Berio, di una densità e complessità ineguagliabili, sorta di perorazione appassionata a interrogare la musica instancabilmente in tutti i suoi aspetti (tratto fraternamente assai polliniano) sia stata probabilmente l’ultima cosa da lui scritta prima di lasciarci: un testamento spirituale che rimane.

Completa il volume una serie di studi che esplorano con l’aiuto di musicologi illustri -naturalmente ammiratori dell’arte di Pollini – le zone predilette del suo repertorio, con opere o temi di autori quali Beethoven, Schubert, Chopin, Schumann, Liszt, Brahms, Debussy, Schoenberg e Bartók: tutti in qualche modo legati a interpretazioni di riferimento del nostro. Sono saggi assai impegnati, che si leggono con il dovuto rispetto e talvolta con inevitabile fatica, il cui pregio sta soprattutto nel rimandare a momenti di folgoranti illuminazioni e conoscenze decisive, che fan voglia di ricorrere alla memoria o ai dischi per verificare l’emozione diretta dell’ascolto. Lasciatelo dire a uno che fa questo mestiere: anche se abbiamo la musicologia e l’analisi che riflettono la musica, non c’è migliore analisi, miglior commento di una musica che la musica stessa. Per esempio le esecuzioni di Pollini, appunto. Gli è che, per citare ancora un pensiero di Luciano Berio, «la complessa e piuttosto misteriosa struttura geologica della montagna Musica, con le sue grotte e le sue formazioni, non si lascia facilmente parlare o, meglio, esplorare». A meno che a farlo non siano i grandi interpreti.

 

Maurizio Pollini, Ritratto di un artista; a cura di Enzo Restagno, Fondazione Musicale Umberto Micheli/Skira, Milano 2003, pp. 274,  32,00

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