Luigi Dallapiccola – Canti di prigionia; Carl Orff – Carmina burana, versione dell’autore per soli, coro, due pianoforti e percussioni – Cantiones profanae, cantoribus et choris cantandae, cantandae, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis.

L

Dallapiccola e Orff

 

Rievocando la genesi dei Canti di prigionia, Luigi Dallapiccola (1904-1975) individuava l’impulso determinante alla loro nascita nella decisione presa da Mussolini nel 1938 di appoggiare la campagna razziale antisemita di Hitler. L’indignazione per tale gesto che colpiva Dallapiccola anche nei suoi affetti più cari – sua moglie era ebrea – lo spinse a cercare nella musica una via di espressione e di liberazione che, ben oltre la testimonianza di un singolo, fosse anche una presa di posizione dell’arte nei confronti della storia e una protesta contro ogni forma di oppressione e di limitazione della libertà. Proprio per sottolineare la portata universale del significato, scelse tre testi in lingua latina di illustri prigionieri della storia europea, rispettivamente la regina di Scozia Maria Stuarda, il filosofo e letterato Severino Boezio e il predicatore domenicano Girolamo Savonarola, affidandoli al mezzo corale: sedimentando così in queste tre preghiere di “”uomini che avevano lottato e creduto”” la componente religiosa nello spirito dell’umanità intera.

Composti fra il 1938 e il 1941 per coro misto e un complesso strumentale particolarissimo (2 pianoforti, 2 arpe, 6 timpani, xilofono, vibrafono, 10 campane e una folta batteria di percussioni), i Canti di prigionia sono per unanime riconoscimento il capolavoro della prima maturità di Dallapiccola e uno dei più alti esempi di “”musica di protesta”” di tutto il Novecento. L’opera si articola in tre parti, ma ha un carattere unitario sotto l’aspetto sia tematico sia strutturale: per la prima volta Dallapiccola vi usò estesamente un’unica serie dodecafonica. Lo sviluppo integrale della tecnica dodecafonica vale come ideale punto di riferimento di uno stile impregnato di tensioni melodiche, armoniche e contrappuntistiche, talora sciolte e come sospese in atmosfere modali dal sapore arcaico. Si manifesta già qui quella tipicissima appropriazione della dodecafonia da parte di Dallapiccola che consiste nella coesione di principi costruttivi con valore eminentemente espressivo, in evidente continuità con la tradizione.

Di poco precedenti (1937), i Carmina burana per soli, coro e orchestra (eventualmente sostituibile da 2 pianoforti e percussione, come in questa versione) hanno assicurato a Carl Orff (1895-1982) fama duratura. L’opera di Orff ha conosciuto peraltro un suo sviluppo durante l’arco di una lunga parabola creativa, e gli stessi Carmina burana hanno acquistato nuovo senso in un disegno architettonico più ampio costituendo la prima parte del trittico teatrale Trionfi, che comprende anche i Catulli carmina e il Trionfo di Afrodite. La reazione al tardo romanticismo da un lato, alle avanguardie tedesche e alla dodecafonia dall’altro, spinse Orff alla rifonclazione di un linguaggio barbarico e primitivo, eloquente e immediatamente comunicativo, nel quale la forza elementare del ritmo e la continua segmentazione del canto, sullo sfondo cli una modalità ora arcaica ora popolare, giocano un ruolo fondamentale e divengono invenzione prodigiosamente novecentesca, insieme giocosa e leggendaria, stupefatta e terrificante.

Il sottotitolo completo suona Cantiones profanae cantorihus et choris cantandae comitantibus instrumentis acque imaginibus magicis (Canzoni profane da cantarsi da cantori e dal coro accompagnati da strumenti e immagini magiche). I testi, in latino, francese e tedesco antico, sono tratti dalla raccolta manoscritta di carmi del Duecento ritrovata nel monastero bavarese di Benediktbeuren (donde il titolo). La composizione si articola in un prologo (l’invocazione alla Fortuna imperatrice del mondo, che ritorna simmetricamente alla fine in una disposizione virtualmente ciclica) e tre parti, ognuna delle quali tocca un tema caro alla composita raccolta di canti di studenti e clerici vagantes medievali: l’inno alla primavera e alla natura paganamente concepita (Primo vere); il vino e le gioie dell’ebbrezza (In taberna); i miraggi e le delizie dell’amore (Cour d’Amour), culminanti nell’invocazione trionfale a Venere (Ave formosissima). Scolpita con mano sicura ed efficace plasticità, l’opera trova i suoi punti di forza nella vasta gamma di accenti che la caratterizza, spazianti dal lirico al grottesco, dal volgare al sentimentale, dal popolare al colto, in una varietà pressoché inesauribile di citazioni e di combinazioni.

Che cosa accomuna i Canti prigionia e i Carmina burana? Praticamente nulla, se non il fatto di essere due capolavori, culturalmente, esteticamente e perfino moralmente assai diversi, del Novecento, e due esempi supremi di raffinato trattamento della massa corale. Accostarli significa perciò anche presentare insieme due anime contrastanti, due atteggiamenti opposti del Novecento, secolo dalle molte facce, e dar conto di quella molteplicità sperimentale in continuo contatto con il passato e con la storia che ne è un tratto distintivo, ai più alti livelli artistici: alti anche se collocati, per scelta, agli antipodi.

Sagra Musicale Malatestiana di Rimini

Luigi Dallapiccola – Canti di prigionia per coro, due pianoforti, due arpe e percussioni

Filippo Maria Bressan / Athestis Chor, Andrea Dindo, Massimo Dal Santo, Eva Perfetti, Francesca Tirale, Nextime Ensemble

 

Carl Orff – Carmina burana, versione dell’autore per soli, coro, due pianoforti e percussioni – Cantiones profanae, cantoribus et choris cantandae, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis.

Filippo Maria Bressan / Mascia Carrera, Devis Fugolo, Roberto Abbondanza, Athestis Chorus, Andrea Dindo, Massimo Dal Santo, Nextime Ensemble

Articoli