Metha e Salome seducono Firenze

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L’opera di Strauss al Comunale

Firenze – Per aver prodotto questa Salome dí Strauss, diresti bene che il Comunale di Firenze è uno dei primi cinque, al massimo dieci teatri al mondo, e che il suo festival è ancora unico per funzione propositiva. Poi rifletti. È la prima opera data in forma scenica al Maggio Musicale Fiorentino (anzi la sola, la terza di tutta la stagione), l’allestimento proviene dal festival di Salisburgo di due anni fa, la compagnia di canto per i ruoli principali anche: di suo proprio, dunque, il Comunale ha messo il direttore, Zubin Mehta, bravissimo, e l’orchestra, davvero splendida, salvo un cedimento degli ottoni nel finale. Basta per dire che Firenze ha ritrovato il suo antico splendore?

L’appuntamento attesissimo (teatro esaurito, entusiasmo alle stelle dopo un’ora e quaranta di musica) ha comunque mostrato le qualità di cuì il teatro dispone. Un’orchestra, si è detto, su livelli di eccellenza, tesa e morbida, capace di esaltare la lettura assai personale, assolutamente convincente, di Mehta: leggera, elegante, a tratti perfino ironica nell’accarezzare i timbri della terribile ossessione biblica ripensata da Strauss, ma puntuale nella grandiosità delle scene di scatenamento e delirio. Tale da servire su un piatto d’argento, prima ancora che la testa del Battista, le spettacolose risorse di Catherine Malfitano, Salome delicata e passionale, felina e lunare, dalla voce non tonitruante ma espressiva, e quelle a loro volta non meno caratterizzate di Heinz Zednik (Erode), Leonie Rysanek (Erodiade), Monte Pedersen (Jochanaan). Tutti recitavano da manuale nella regia di Luc Bondy che a Salisburgo fece un po’ scandalo e qui sembrava una lezione di stile.

da
“”La Voce””

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