Mozart addio

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Grazie, è stata una bella festa. L’educazione impone di salutare gli ospiti con cortesia, anche se il banchetto non è stato sempre esaltante. Ma in fin dei conti smettiamola di fare i difficili. A furia di ripetere che quest’idea del bicentenario è stata un fallimento si rischia di cadere nell’ovvio. Certo, non occorre un anniversario tondo per celebrare Mozart. Mozart si celebra da sé ogni volta che viene eseguito. È uno dei pochi autori che resiste anche alle esecuzioni cattive. Perché con Mozart si capisce subito dove si va a parare, non ci sono inganni, se non quelli che ci tende lui stesso: i tranelli sovrapposti da altri non funzionano, sono acqua fresca al confronto.

Ci sono mille modi di affrontare Mozart: ed è arduo stabilire quale sia quello giusto. Ma a Mozart si deve arrivare per gradi, a piccoli passi. Se lo capiamo, o ci sembra di capirlo, è solo per porre altre domande: con calma. Don Giovanni ha sedotto Donna Anna? La Contessa perdonerà il Conte? Le coppie di Così fan tutte in che modo si ricomporranno alla fine? Benché siano dati tutti gli elementi per giudicare, noi non lo sappiamo. Eppure ci sentiamo ogni volta lì lì per scoprirlo. Ma per questo occorrono pazienza, riflessione e tranquillità. Se si credeva che la parata dell’anniversario servisse a sciogliere tutti questi enigmi, ci illudevamo.

Diciamo allora che il fallimento sta nell’aver affastellato pezzi su pezzi, notizie su notizie, ipotesi su ipotesi senza considerare una semplice verità: tutto questo fervore celebrativo non avrebbe portato a nulla. Perché era sbagliato il fraseggio, il ritmo, l’armonia: il tempo di base. Noi abbiamo fatto soltanto un sogno. Abbiamo eseguito Mozart (tanto, di più, tutto), ascoltato Mozart, dibattuto su Mozart, documentato Mozart, scritto di Mozart per ritrovarci, al risveglio, più esausti di prima. E con la testa vuota, con i riflessi pallidi e le membra irrigidite.

L’errore è stato somministrare Mozart a dosi così massicce. Non si doveva. Non per lui, ma per noi. Come non capire che quello era il modo più sicuro per confonderci? Che per la nostra salute avevamo bisogno delle consuete razioni di Bach, di Beethoven, di Schumann e di Brahms in dosi equilibrate? Noi accusiamo di fallimento l’anno di Amadeus non per quello che ha fatto, ma per quello che non ha saputo fare: contenersi. Ora che la sbornia è passata, siamo contenti che cominci una giornata normale con le sue scelte, i dubbi e le piccole certezze: addio Mozart, ci ritroveremo in un prossimo sogno, quando vorrai tu. Allora sarà bello.

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