Musica degenerata e degenerazione di una formula

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In 14 titoli Decca una rassegna della “”Entartete Musik”” osteggiata dal nazismo

KORNGOLD

Das Wunder der Heliane

Anna Tomowa-Sintow (Heliane), Hartmut Welker (il Signore), John David de Haan (lo Straniero), Reinhild Runkel (la Messaggera), Rene Pape (il Portinaio), Nicolai Gedda (il Giustiziere); Rso Berlin, Rundfunk Chor Berlin, direttore John Mauceri

(registrazione: Jesus-Christus-Kirche, Dahlem, Berlino, febbraio 1992; pubblicazione: 1993) Decca 436 636-2 (3 Cd)

 

KRENEK

Jonny spielt auf

Heinz Kruse (Max), Alessandra Marc (Anita), Krister St Hill (Jonny), Michael Kraus (Daniello), Marita Posselt (Yvonne), Dieter Scholz (Manager), Dieter Schwartner (Direttore dell’albergo), Martin Petzold (Impiegato delle ferrovie, primo poliziotto); Gewandhausorchester Leipzig, Leipzig Opernchor, direttore Lothar Zagrosek

(registrazione: Paul Gerhardt Kirche, Lipsia, novembre 1991; pubblicazione: 1993)

Decca 436 631 – 2 (2 cd)

 

Premessa numero uno: la messa al bando da parte dei nazisti della cosiddetta “”musica degenerata”” non fu la conseguenza di un giudizio artistico e tanto meno estetico, bensì il risultato di una presa di posizione ideologica connaturata con l’evoluzione del regime e culminata con l’applicazione delle leggi razziali. Essa colpì dunque indiscriminatamente non solo i musicisti ebrei, ma anche quei compositori e quelle opere che al di là del loro valore contraddicevano le norme della funzione dell’arte così come la vedevano i responsabili della cultura nazionalsocialista in Germania. Pressappoco lo stesso accadde proprio negli stessi anni in Unione Sovietica con motivazioni solo in apparenza diverse: fondamentalmente si trattava anche li di imporre una linea che fosse coerente con gli sviluppi politico-sociali del Paese, sì da fare della cultura un mezzo di aggregazione forte e chiaro, e dell’arte lo specchio di un’identità. Che poi tutto ciò riuscisse, è altra questione: accettarne o meno gli esiti dipende dalla nostra coscienza, se non dalle nostre convinzioni. Almeno in arte. Premessa numero due: 1’arte di regime è probabilmente pessima arte (ma non sempre: arte di regime fu anche quella della Chiesa nel Medioevo, delle corti rinascimentali e delle monarchie assolute, e per certi aspetti anche quella delle avanguardie); ciò non significa però che 1’arte rifiutata dai regimi sia automaticamente grande arte: neppure quella nata sotto il segno della protesta e dell’opposizione.

Una collana come quella di cui ci stiamo occupando, che teorizza 1’importanza della “”musica degenerata”” in quanto tale, rischia di nascondersi dietro un falso paravento, attribuendo meriti e avvalorando ipotesi che poco o nulla hanno a che fare con la realtà dei fatti, con la sostanza stessa delle opere.

Ne è dimostrazione il caso di Erich Wolfgang Korngold e della sua opera di maggior impegno dopo Die tote Stadt (La citta morta, 1920), ossia Das Wunder der Heliane (I1 miracolo di Eliana), andata in scena contemporaneamente ad Amburgo e Vienna nel 1927. La sua caduta nel dimenticatoio è certamente ingiusta, dato che si tratta di una partitura di robusta tessitura sinfonica, sontuosa ed elegante, con momenti ispirati e vaste aperture a un canto tutt’altro che involuto, anzi spesso perfino accattivante e di presa immediata. II libretto, proveniente da un dramma del poeta espressionista Hans Kaltneker riadattato dal commediografo di successo Hans Willer, non è peggiore di tanti altri prodotti dell’epoca si presta generosamente all’intervento della musica, senza troppi condizionamenti: favorendo sia scene di ininterrotta, fluviale continuita, sia forme chiuse di ripiegamento lirico (nel secondo atto figura un’aria della protagonista di pregevole fattura, tranquillamente enucleabile dal contesto, quasi a sè stante nel dramma). Il soggetto, con il suo misticismo e la sua glorificazione dell’amore puro e ideale (Eliana ama lo Straniero di un amore non carnale, e solo compiendo il miracolo della sua resurrezione potrà ascendere in cielo trasfigurandosi in luce e bellezza), e così ricco di simboli e di metafore da non toccare minimamente il piano della realtà: anche 1’ambientazione (la vicenda si svolge in un regno e in un’epoca imprecisati) e astratta, e ricorda in molti punti (i cori, gli interventi soprannaturali) la tradizione delle sacre rappresentazioni.

Non vi è niente in quest’opera che potesse disturbare 1’ideologia del regime: anzi, l’inno alla purezza e alla redenzione, così prossimo al fervore wagneriano, è intimamente connesso a tutto un filone

dello spiritualismo tedesco, non troppo distante, negli esiti musicali, dallo Strauss della Donna senz’ombra, evidentissimo modello di quest’opera. Certo, Korngold era ebreo e questo lo rendeva pin che sospetto agli occhi dei nazionalsocialisti; per questo dovette emigrare in America. Ma niente avrebbe impedito al suo lavoro di continuare a vivere se non vi fosse stata un’altra ragione d’ostacolo: la totale mancanza di senso teatrale unita alla poca attualità del soggetto. E nonostante le qualità musicali tutt’altro che povere, questi difetti relegano Das Wunder der Heliane tra le opere nate morte prima ancora che generate. L’esecuzione della Decca, pur in mancanza di confronti visto che si tratta di una prima assoluta, pare assai bella, soprattutto nella distribuzione del cast vocale, che annovera, accanto ad Anna Tomowa-Sintow e Hartmut Welker nella parti principali, un sorprendente Nicolai Gedda, una freschissima Reinhild Runkel e un promettentissimo Heldentenor, de Haan, svettante e debitamente invasato. Piu attenta alle grandi linee che alle sfumature la direzione di John Mauceri; imponente lo spiegamento orchestrale e corale, impegno benissimo assolto dai complessi della Radio di Berlino.

 

* * *

 

A differenza di Das Wunder der Heliane di Korngold, Jonny spielt auf di Ernst Krenek non è affatto un’opera scomparsa dal repertorio. Anche in Italia se ne ricordano almeno due recenti edizioni, a Firenze e a Palermo, accolte con gran successo di pubblico.

Ma il successo fu grande già alla prima rappresentazione avvenuta a Lipsia nel 1927, anno nel quale ben cinquanta teatri europei la ripresero, assicurando a Krenek una fama internazionale e il benessere economico. Esempio tra i più riusciti di quel genere che va sotto il nome di “”Zeitoper””, opera d’attualità (net senso sia del1’argomento sia del linguaggio e delle forme che vi sono impiegate), essa rappresenta gli ideali della Repubblica di Weimar e incarna molti dei requisiti della “”Neue Musik””, ossia della musica moderna in un periodo di franca, quasi gioiosa emancipazione: è 1’epoca delle macchine (telefono, radio, automobile, treno) che fa la sua comparsa sulla scena, tra stupore e parodia, coinvolgendo situazioni e personaggi in una sfrenata caricatura dei luoghi comuni dell’opera tradizionale, un po’ per divertimento un po’ per sottintendere che la vecchia società e il vecchio mondo stanno morendo, travolti da un desiderio di rigenerazione cui non sono estranei nuovi mezzi di espressione e di comunicazione, primo fra tutti il jazz, la grande scoperta del momento, suonato dal negro Jonny. E lui il protagonista assoluto, capace alla fine di salvare dalle sue depressioni romantiche l’intellettuale mitteleuropeo inibito e pensoso.

Dispiace, ma non stupisce che ben presto Krenek e la sua opera venissero bandite dal Reich e dall’Austria, ancor prima dell’Anschluss: qui si trattava davvero di un’intollerabile provocazione. Ma non stupisce neppure che sorte analoga le toccasse nella democratica America, dove alla prima newyorkese del gennaio 1929, per via della discriminazione razziale, il cantante che intepretava la parte di Jonny dovette essere chiaramente riconoscibile come un bianco truccato da negro. Umiliazione che Krenek soffrì anche piu della inevitabile censura che subì in Germania. Dal punto di vista dei nazisti, questa è “”arte degenerata””, emblematicamente; ed era proprio ciò che Krenek voleva, con segno opposto, dimostrare: uno sberleffo alla tradizione e insieme una dichiarazione di speranza verso un’era nuova di liberazione, nella quale voci fino ad allora sopite salissero prepotentemente alla ribalta. E da quest’altro punto di vista Jonny spielt auf e un prodotto tipico delle avanguardie degli anni Venti, internazionaliste e cosmopolite.

Non tutti i piani su cui l’opera si pone mantengono per noi oggi la loro originaria forza di seduzione: anche il jazz e la musica leggera hanno trovato nuovi punti di contatto con la produzione d’arte. Ciononostante Jonny spielt auf è un lavoro di sicura teatralità, di intelligente parodia: e, oltre a rappresentare un’epoca, ci prende e ci tiene avvinti nei suoi voli un po’ stralunati. L’incisione discografica non basta a rendergli interamente ragione: alcune banalità ne escono ingigantite, proprio perche sottratte alla loro immediatezza teatrale. A parte Heinz Kruse, fin troppo stentoreo e serioso nella sua parte, gli altri sembrano potenzialmente eccellenti attori oltre che bravi cantanti, e assicurano la riuscita dell’insieme. Non abbastanza scattante ma preciso Lothar Zagrosek, meritevole di un plauso l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia, roccaforte della tradizione sinfonica, qui impegnata a dar torto a coloro che videro un pericolo tremendo in una innocente, esilarante burla. Ma il senso dell’umorismo, si sa, non è mai stato un attributo delle dittature.

Musica Viva, n. 10-11– anno XVII

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