Segreti sentimenti di Schubert

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Nella sua vita di omosessuale occulto, di artista che rifiutava la norma, c’era anche tutta la sua decisione di vivere o morire  a modo suo, orgogliosamente e creativamente

 

Maynard Solomon, nel suo “scandaloso” saggio Franz Schubert and the Peacocks of Benvenuto Cellini, pubblicato sul numero 389 della rivista “19th-Century Music” propone un’indagine psicanalitica della vita affettiva e interiore di Schubert basandosi sull’interpretazione dei documenti e delle testimonianze di lui stesso e di coloro che lo conobbero più da vicino.

Che Schubert fosse dominato dagli impulsi di una sensualità ardente e che in lui convivessero due nature, una che lo innalzava al cielo, l’altra che lo spingeva verso i piaceri terreni quasi «immergendolo nel fango» (Josef Kenner), è cosa che si ricava da molti indizi, anche se le biografie ufficiali vi hanno volentieri sorvolato. Già il poeta e intimo amico Johann Mayrhofer scriveva nel suo necrologio che il carattere di Schubert era «un misto di tenerezza e rozzezza, sensualtà e candore, socievolezza e malinconia»: un poeta nell’intimo e un edonista nel comportamento esteriore. Altre testimonianze si spingono oltre e mettono l’accento, sia pure in forma velata, sulle passions mauvaises di cui il compositore era vittima: «una vita sessuale eccessivamente libera, quasi sfrenata» (Franz von Schober), che  lo condusse «su una strada sbagliata che di solito non ammette ritorno, se non con nefaste conseguenze per la salute» (Wilhelm von Chézy).

Schubert contrasse nel 1823 una malattia infettiva trasmessa sessualmente – apparentemente sifilide – che lo costrinse a un lungo ricovero a cui seguì, dopo una convalescenza penosa e un illusorio miglioramento, la morte precoce a soli trentuno anni. I più spregiudicati fra i suoi biografi hanno supposto che Schubert avesse incontri con prostitute e che ciò sia stato all’origine della sua rovinosa malattia. Ma se solo così fosse, non si spiegherebbe perché attorno a lui si creasse il sospetto di una tendenza sessuale deviante e immorale, in un’epoca e in una città in cui frequentare prostitute non era ragione di sdegno o di scandalo, «data la tolleranza dei contemporanei verso l’attività eterosessuale ed extraconiugale», scrive Solomon, «non si può escludere che gli amici di Schubert volessero suggerire non semplicemente che il suo comportamento fosse sessualmente promiscuo, ma che la promiscuità avesse un carattere non ortodosso».

Fin da giovane Schubert rifiutò di sottomettersi agli imperativi patriarcali fondati sui valori tradizionali di carriera, religione e matrimonio. E ciò gli costò, come sappiamo, non poche controversie con la famiglia, ripercuotendosi anche sulla sua affermazione come compositore. Per alcuni anni, probabilmente fra il 1814 e il 1816, egli corteggiò la cantante Therese Grob, senza che si abbia certezza sulle sue reali intenzioni. Sono però significativi due aforismi che troviamo annotati sul suo diario l’8 settembre 1816, proprio alla svolta di questa relazione: «Felice chi trova un amico fedele. Ancor più chi trova un’amica fedele nella propria moglie. Per un uomo libero il matrimonio è oggi pensiero terrificante: egli lo rimpiazza o con la malinconia o con una cruda sensualità».

Altri accenni ai rapporti di Schubert con le donne sono assai scarsi e quasi circospetti. Hüttenbrenner osservò con una certa preoccupazione che sin da quando aveva conosciuto Schubert (e cioè dal 1815) non lo aveva mai visto «implicato in un affare di cuore»: durante i ricevimenti «si comportava in modo freddo e distaccato con il gentil sesso», sì da dare quasi l’impressione di nutrire «un odio assoluto per le figlie di Eva». E ancora Hüttenbrenner svela un particolare inquietante: alla domanda se non fosse mai stato innamorato, Schubert rispose che per un certo tempo aveva corteggiato Therese Grob, ma che poi aveva lasciato perdere quando si era reso conto che non sarebbe mai stato capace di farsi una posizione che gli permettesse di mantenere tutti e due. Sposarsi avrebbe significato dunque rinunciare ai propri principi, in ogni senso. Therese difatti sposò un fornaio; e Schubert non mancò in seguito di esprimersi sul matrimonio in modo sarcastico e perfino caustico.

La scelta di non metter su famiglia è contemporanea al rifiuto di riprendere il posto di insegnante nella scuola paterna: da questo momento Schubert vivrà per lo più ospite di amici, prima di Schober, poi di Mayrhofer. Sia l’uno che l’altro erano dichiaratamente omosessuali; Schober era anzi per così dire il centro degli artisti e degli intellettuali omosessuali di Vienna, e con il suo comportamento da dandy – ammiratissimo dagli amici – fu probabilmente l’elemento decisivo delle esperienze di Schubert in materia sessuale. Amori, litigi, gelosie, abbandoni e ritorni (sovente ritmati dal decorso delle malattie infettive provocate dalla promiscuità) costituivano l’altra parte, non artistica, del modo di vivere di questo gruppo eterogeneo; il cui progressivo degrado ebbe per conseguenza la disgregazione della cerchia stessa: nel 1824, proprio nella fase più acuta dell’infermità di Schubert.

L’esistenza di sottoculture omosessuali nelle principali capitali europee è confermata dalle recenti ricerche storiche. Queste comunità vivevano in promiscuità e si difendevano con l’anonimato dalla persecuzione dell’ordine pubblico. «Per molti versi – precisa Solomon – esse somigliavano a società clandestine o segrete, con tutta una serie di segni di riconoscimento e di modi di comportamento, e con un gergo speciale. La natura segreta delle sottoculture sessualmente non conformiste ha fatto sì che gran parte del loro linguaggio figurato non sia entrata nei dizionari di slang; e ciò rende incerta la loro decodificazione. Ma per quanto sia difficile trarre conclusioni definitive, non mancano nelle lettere e nelle memorie di Schubert copiosi riferimenti in codice ad argomenti di tipo sessuale».

Da questi esempi Solomon prende spunto per tentare un parallelo a suo modo chiarificatore con i «pavoni di Benvenuto Cellini», che danno il titolo al suo saggio: ossia con alcuni passi delle memorie fantasiosissime «di uno dei più celebri artisti omosessuali» com’egli dice. L’aggancio è dato da una nota del diario di Eduard Bauernfeld dell’agosto 1826: «Schubert è depresso, avrebbe bisogno di giovani pavoni come Ben. Cellini». Chiunque conosca La vita di Cellini sa che cosa egli intendesse, in linguaggio cifrato, con «quell’arte di far gran cacce» con il suo «scoppietto», caricando il suo «broccardo» per andare in cerca di «grassissimi colombi» e di «pavoni»: come per esempio quel «pavone» di nome Diego che, travestito da ragazza (aveva sedici anni, per inciso), sembrò a Giulio Romano, al quale Cellini lo aveva presentato per un festino inequivocabile, talmente «maraviglioso» da far apparire «cornacchie» anche le più belle donne. Cellini offre a Solomon la chiave per capire il significato di «pavoni» nel gergo omosessuale: ragazzi in abiti stravaganti o femminili. In altri termini, giovani travestiti.

Solomon ritiene probabile che l’iniziazione omosessuale di Schubert sia stata dapprima passiva o idealizzata nell’appassionato legame dell’amicizia, e che solo in un secondo tempo sia divenuta attiva con uomini più vecchi di lui; per trovare infine sfogo con partner anonimi e occasionali nei bassifondi della prostituzione, non escluso il mondo, già allora fiorente, dei travestiti. «È possibile che giovani uomini siano oggetto di pederastia da parte di uomini più vecchi alla maniera “greca”. Forse Schubert ebbe il ruolo dell’efebo con Johann Michael Vogl (il cantante dei suoi Lieder, ch’egli chiamava il suo “secondo padre”) o con Mayrhofer, tutti e due considerevolmente più vecchi di lui: e nessuno può dire se si trattasse di amore spirituale o carnale. Nel corso del tempo però Schubert cominciò a dare la caccia ai pavoni di Cellini e così cadde vittima della malattia che dissolse la cerchia degli amici e oscurò i suoi ultimi anni di vita. Ciò può spiegare il tono offeso e lo sdegno morale di coloro che descrissero Schubert come “immerso nel fango” e vittima di passions mauvaises. Dubito che una semplice confessione di omosessualità avrebbe incontrato critiche così ostili. Ciò che può avere indotto gli osservatori del comportamento di Schubert a parlare di pratiche vili e abominevoli è piuttosto il sospetto di relazioni sessuali tra un adulto e un ragazzo, con tutte le aggravanti di atti molesti nei confronti di minori e la vaga idea di un regno di esperienze tabù».

Confinato nel suo gruppo, Schubert si nascondeva dentro il mondo ermetico e autosufficiente della sua propria sottocultura, cercandovi delle compensazioni. E in ciò Solomon scorge un fattore di decisiva importanza. «In forza della sua omosessualità Schubert abbandonò un ambiente di costrizioni per entrare in quello che sembrava – almeno momentaneamente – un regno della libertà. Per i suoi membri, la comunità omosessuale e bohémienne significava libertà dalle restrizioni della famiglia e dello Stato, dalle regole della società e dalla camicia di forza dell’eterosessualità, dagli obblighi del matrimonio e della carriera: in breve, rappresentava la libertà di ignorare il principio della realtà per una ricerca senza limiti della bellezza e del piacere. E queste indennità potevano risarcire almeno temporaneamente, anche se in ultima analisi in modo insufficiente, un’esistenza precaria ai margini della società». «Prendi gli uomini come sono e non come dovrebbero essere», aveva scritto Schubert nel suo diario lo stesso giorno in cui aveva dichiarato il suo terrore del matrimonio e deciso di rinunciare a un posto sicuro per affermare il suo inalienabile diritto alla diversità, comunque si dovesse esprimere. Alcuni anni più tardi, a Franz von Schober che gli aveva mandato a dire di star male e di essere infelice, Schubert rispose (21 settembre 1824): «La cosa mi dispiace enormemente, ma non mi meraviglia affatto, giacché tale è il destino di ogni uomo sensato in questo mondo miserabile. E che ce ne faremmo poi della felicità se l’infelicità è l’unico incentivo che ancora ci rimane?».

La conclusione del saggio di Solomon è un’appassionata difesa di queste prerogative: «La vera natura di Schubert è rimasta troppo a lungo in ombra, sbiadita e indistinta. Fino ad oggi i biografi non sono stati in grado neppure di darci un ritratto almeno in parte convincente della sua personalità, e di chiarire le sue ossessioni, spiegare le sue relazioni familiari e intime, scorgere da ultimo che cosa muovesse la sua forza creativa. Ma forse per noi non è troppo tardi – com’era invece per Schubert – riuscire a comprendere che cosa lo tenesse così a lungo nella morsa della fame di giovinezza e di un appetito sessuale insaziabile. Probabilmente non scopriremo mai le tracce del carattere di Schubert all’interno della sua musica. Ma è evidente che l’edonismo represso fu una parte essenziale della sua indole, in stretta relazione con le ossessioni della sua prodigiosa creatività. Giacché se l’ingordigia fu un tratto centrale della personalità di Schubert, quest’ingordigia riguardava non soltanto il mangiare e il bere, il piacere e l’estasi, ma anche la bellezza e la musica in quanto tali. La sensualità sfrenata di Schubert può essere vista come una parziale compensazione delle sue fatiche e privazioni, come un modo di essere dentro e fuori del mondo evadendo dalla solitudine della creazione. L’edonismo, tuttavia, può essere anche una forma distruttiva dell’impulso ludico, che divora continuamente e senza mai appagarsi gli oggetti del piacere. Sotto questo aspetto la spinta a ricercare il piacere nei «fagiani», nei «pavoni» e nel «punch» potrebbe significare brama di estinzione fisica, un modo di affrettare la morte nel momento stesso in cui si cerca di differirla, portando alla luce le ombre mediante una immersione totale nel piacere sensuale. Se così fosse, noi ci troveremmo di fronte a un segno definitivo dello sforzo di Schubert per esercitare il libero arbitrio, nella decisione di vivere e di morire a suo proprio modo, senza restrizioni, orgogliosamente, e creativamente. E sembra addirittura possibile allora che proprio la non ortodossia sessuale di Schubert e la sua resistenza alle costrizioni ci conducano fino alle soglie di una regione eroica della sua personalità».

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